I messaggi Whatsapp, i dossier, l’Alto prelato: perché il Vaticano riapre le indagini sulla scomparsa di Emanuela Orlandi

Il promotore di giustizia Diddi si muove dopo una segnalazione dell’aprile scorso. Il ruolo di Balda e le intercettazioni di Vergari

Una serie di messaggi su Whatsapp, i documenti di Vatileaks 2 e i dossier sulla scrivania di Ratzinger. Sono questi gli elementi in base ai quali il promotore di giustizia dello stato di Città del Vaticano Alessandro Diddi ha annunciato ieri la riapertura delle indagini sulla scomparsa di Emanuela Orlandi. Il pubblico ministero del Papa ha fatto sapere che l’iniziativa è legata alle istanze presentate dal fratello di Emanuela, Pietro. E all’interessamento di Papa Francesco, che aveva indirizzato verso la giustizia vaticana la legale della famiglia Laura Sgrò. Tutto è accaduto quasi un anno fa. Ma San Pietro decide di muoversi soltanto adesso. Dopo il documentario di Netflix che rispolvera la pista dell'”Alto Prelato“. E dopo gli elementi che hanno – presuntamente – coinvolto anche Karol Wojtyla.


Diddi, che non sembrava aver fretta sul dossier Orlandi, ha quindi annunciato l’improvvisa accelerata. Che si basa in primo luogo su una chat su Whatsapp i cui screenshots sono stati allegati da Orlandi e Sgrò alla denuncia presentata in Vaticano quasi un anno fa. Le conversazioni, ricorda oggi Il Fatto Quotidiano, fanno riferimento a due persone un tempo vicine a Jorge Mario Bergoglio. Uno è monsignor Lucio Vallejo Balda, condannato nel 2016 a 18 mesi di carcere nel processo Vatileaks 2. L’altro è il cardinale Santos Abril y Castello. Entrambi non c’entrano nulla con la scomparsa della cittadina vaticana avvenuta il 22 giugno 1983. Ma potrebbero essere in possesso di documenti sul caso. «Devi andare per questa strada… (…) però bisogna risolvere perché questa è una cosa molto grave… (…) lo dobbiamo dire (…) al Comandante della Gendarmeria? (…) No, no, assolutamente… ma che scherzi, assolutamente no!”», recita uno dei testi.


Balda e Orlandi

Cosa c’entra Balda con Orlandi? Il presule legato all’Opus Dei fu scelto da Francesco per presiedere la Commissione di studio sulle strutture economiche e amministrative della Santa Sede (Cosea). Il 2 novembre 2015 arrivò l’arresto nell’ambito di Vatileaks 2. Il 22 settembre 2017 invece i giornali italiani portarono alla luce una lettera di cinque pagine, datata marzo 1998 inviata dal cardinale Lorenzo Antonetti, allora capo dell’Apsa  (l’Amministrazione del patrimonio della Sede apostolica), ai monsignori Giovanni Battista Re e Jean-Louis Tauran. Il titolo era “Resoconto sommario delle spese sostenute dallo stato città del vaticano per le attività relative alla cittadina emanuela orlandi (roma 14 gennaio1968)“. Si parlava di un totale di 483 milioni di spese riepilogate in una serie di giustificativi. Che purtroppo non erano allegati alla nota.

Il falso-vero dossier su Orlandi

La giornalista Maria Giovanna Maglie nel suo libro “Addio, Emanuela” ha invece sostenuto che Balda avrebbe in uso una cassetta di sicurezza nella sede del Banco Santander a Madrid «dove sarebbero conservati tutti i documenti trafugati». Proprio quelli che riguardano Orlandi. Secondo questa tesi il dossier con le spese sarebbe stato redatto da chi «o non conosce le procedure del Vaticano oppure le conosce talmente bene da essere in grado di modificarle ad arte per far pensare a un falso» allo scopo di «inviare un segnale ben preciso». Si tratta di una pista che porta a porsi ulteriori interrogativi. Il primo che viene in mente è: se si voleva mandare il solito “segnale ben preciso” (ma a chi?) perché pubblicare una lista falsa, verosimile o falsificata invece di uno – ed un solo – giustificativo di spesa del Vaticano per Orlandi? Eppure proprio quella sarebbe la “pistola fumante” di un eventuale coinvolgimento della Santa Sede nella scomparsa.

La telefonata di Vergari

Gianluigi Nuzzi su La Stampa invece riporta un altro elemento. Che riguarda Don Pietro Vergari, all’epoca rettore della Basilica di Sant’Apollinare (che si trovava di fianco alla scuola di musica Ludovico Da Victoria). Vergari è il prete che perorò la sepoltura di Enrico De Pedis, presunto boss della Banda della Magliana morto però senza condanne per associazione a delinquere sulle spalle, nella chiesa con il vicario di Roma, il cardinale Ugo Poletti. Si tratta di una conversazione con un alto prelato e risale al 19 maggio 2012:

  • Vergari (V.): Eccellenza sono don Piero…che devo fare….
  • Eccellenza (E.): No… (lo interrompe bruscamente) non si rivolga a me don Piero perché… lei stia …stia quieto… stia tranquillo… io gliel’ho detto fin da principio.
  • V.: Io sto tranquillissimo perché guardi… le dico la verità… io quella persona non l’ho mai vista, non l’ho mai conosciuta….
  • E.:(lo interrompe nuovamente) Sì ma lei stia tranquillo…
  • V.: Sì
  • E.: Come le ho sempre detto, perché tutte le volte che lei è andato di fuori poi è successo quello che è successo…

[…]

  • V.: Sì e senta, mi chiamano…telefonate…e…e…io non rispondo a nessuno…se mi chiamano i giornalisti che vogliono sapere….
  • E.: Guardi che il suo telefono è sotto controllo!…
  • V.: Sì…eh….(…)
  • E.: Stia in silenzio e basta!.

Nel suo libro invece Padre Georg Ganswein racconta che nel 2011 la Gendarmeria Vaticana consultò la documentazione dell’epoca e concluse che non c’era alcuna notizia tenuta nascosta alla magistratura italiana. Forse il lavoro di Diddi servirà a confermare (o a smentire) questa affermazione. Nel caso si arrivi a un processo, va ricordato che l’attuale presidente del Tribunale dello Stato di Città del Vaticano è Giuseppe Pignatone. Ovvero colui che da capo della procura di Roma chiese e ottenne l’archiviazione per l’ultima indagine italiana su Emanuela Orlandi.

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