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Le colpe dei giudici, le torture e la peste: la storia della Colonna Infame di Milano – Il video

13 Gennaio 2023 - 16:51 Antonio Di Noto
Non lontano da Porta Ticinese a Milano, il monumento riguarda una terribile vicenda legata alla peste del 1630

Non tutti i monumenti celebrano eventi che passano alla storia come grandi conquiste. A volte, la storia che raccontano è triste, ingiusta e macabra. È il caso della Colonna Infame, non lontano da Porta Ticinese a Milano, commemorativa di una vicenda poco nota legata alle peste del 1630. La malattia uccise circa metà degli allora 120 mila abitanti della città. La frustrazione della popolazione, unita alla mancanza di consapevolezza su come si diffonde il batterio della peste, fece sì che presto si iniziasse a cercare dei presunti responsabili da incolpare per propagazione del morbo: gli untori. A fare le spese di questa caccia alle streghe fu l’allora Commissario della sanità del Ducato di Milano, Guglielmo Piazza. L’uomo venne visto da una donna mentre camminava facendo scivolare la mano contro il muro di un edificio. Stava controllando quali case erano rimaste vuote a causa della moria, e si teneva vicino al muro per ripararsi dalla pioggia. Un gesto che gli fu nefasto, dato che nello stesso giorno varie pareti in città erano state imbrattate con una sostanza sconosciuta, e l’opinione pubblica si convinse che Piazza stesse ungendo l’edificio con un «onto pestifero» procuratogli dal barbiere Gian Giacomo Mora.

Le torture ingiuste

La giustizia dell’epoca non ci andava per il sottile. Piazza venne torturato talmente tanto che, piuttosto che prolungare le sue sofferenze, l’uomo preferì offrire alle autorità una falsa confessione. Si assunse la responsabilità della presunta unzione e trascinò con sé anche Mora. Le speranze di Piazza, però, vennero disattese. Giudicato colpevole, le torture si moltiplicarono. Piazza venne ustionato con tenaglie roventi, gli venne mozzata la mano destra e le sue ossa vennero fratturate per incastrarlo tra i raggi di una grande ruota dove rimase appeso per sei ore, alla mercé del pubblico ludibrio. Infine, l’uomo venne ucciso per sgozzamento.

La Colonna Infame riproducibilità del male

Ma cosa c’entra la colonna in tutto ciò? Il monumento venne eretto nel 1630 a memoria del processo laddove fino a poco prima sorgeva la casa di Mora. La colonna simboleggiava l’infamia del barbiere e di Piazza. Tuttavia, presto divenne l’emblema dell’infamia dei giudici, che condannarono due innocenti. Secondo Alessandro Manzoni, che ne scrive in un’aggiunta all’edizione de I promessi sposi del 1843, la colonna simboleggia la superstizione e l’iniquità dalla giustizia degli spagnoli che nel XVII secolo controllavano parte del Nord Italia. Il monumento, inoltre, rappresenta la riproducibilità del male nella storia. Quella che si può vedere oggi è un’opera sostitutiva. Dato che la vera colonna venne a abbattuta nel 1778. La lapide originale, invece, è conservata nel Castello Sforzesco.

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