Arresto Messina Denaro, il generale Angelosanto: «Mesi di verifiche ma solo oggi abbiamo avuto la conferma che era lui»

La conferenza stampa con tutti i dettagli della cattura. La stoccata del procuratore De Lucia: «Senza intercettazioni niente indagini»

Oggi, 16 gennaio, il boss Matteo Messina Denaro è stato arrestato dai carabinieri del Ros, del Gis e dei comandi territoriali della Regione Sicilia, coordinati dalla Procura di Palermo. Una cattura che pone fine a 30 anni di latitanza per il mafioso siciliano ai vertici di Cosa nostra, considerato uno dei criminali più pericolosi al mondo. «Abbiamo catturato l’ultimo stragista per i crimini avvenuti tra il 1992 e il 1993, era un debito che la Repubblica aveva nei confronti delle vittime di quegli anni. Per noi questa cosa ha un’importanza che prescinde da tutte le altre», ha esordito il Procuratore De Lucia, in conferenza stampa dal Comando Legione Carabinieri «Sicilia» di Palermo.


Le indagini

«Il lavoro è stato caratterizzato da rapidità, riservatezza. Nel breve volgere di poche settimane ci ha consentito di mettere insieme elementi per individuare una data, quella di oggi. Data nella quale il ricercato si sarebbe sottoposto a degli accertamenti clinici», ha fatto eco il generale comandante del Ros, Pasquale Angelosanto. Che ha poi aggiunto: «La procura della Repubblica di Palermo che ha seguito passo passo tutti gli sviluppi ha quindi autorizzato l’intervento, che ha visto anche la componente Gis, tipica delle situazioni particolarmente rischiose. Agivamo in una struttura ospedaliera, e dovevamo garantire la sicurezza alle persone che avevano avuto accesso alla stessa». Il generale ci ha poi tenuto a sottolineare che «questo è il risultato del lavoro di tanti carabinieri e del loro sacrificio, frutto di attività che sono andate avanti in maniera progressiva, incessante e continua. E in questo, ovviamente, l’apporto di tutte le forze di polizia che hanno contribuito alle indagini è stato fondamentale. Si è trattato di un lavoro corale, dipanatosi nel tempo, che è costato tanti sacrifici ai carabinieri e alle loro famiglie. L’ultimo periodo i nostri l’hanno trascorso negli uffici a lavorare e a mettere insieme gli elementi, che ogni giorno si arricchivano e venivano comunicati alla Procura, anch’essa aperta tutti i giorni, anche durante le feste».


La conferma

Angelosanto ha specificato che mesi di incroci sui dati clinici del presunto Andrea Bonafede (generalità corrispondenti ad una persona effettivamente esistente, nipote di un fedelissimo del boss) hanno avuto la conferma solo questa mattina, al momento del fermo: «Sapevamo di essere vicinissimi ma solo oggi, al momento del fermo, abbiamo avuto la conferma che era lui, non c’era nessuna certezza fino al momento dell’arresto. Il via è stato dato perché abbiamo avuto contezza che stamattina quella persona aveva avuto accesso alla struttura sanitaria. Bisogna dire che dal controllo del documento del latitante non si riscontrano falsificazioni grossolane». Le attività investigative, ha spiegato, si sono concentrate anche sulla rete di persone che hanno aiutato il boss nel corso della latitanza, e si sono mosse su «un doppio binario»: la lotta all’apparato militare di Cosa Nostra e l’attacco al suo patrimonio, rendendone più difficile l’attività.

Le visite presso la clinica La Maddalena

Quando viene chiesto conto dell’eventuale coinvolgimento della clinica presso cui Messina Denaro stava ricevendo le cure sotto falso nome, De Lucia ha risposto: «Allo stato non abbiamo elementi sul presunto coinvolgimento o complicità da parte della clinica, il latitante aveva fornito documenti falsi. Naturalmente gli accertamenti sono all’inizio». Mentre è stato reso noto che la persona che lo accompagnava a fare le visite era trapanese. E che, nonostante la malattia, Messina Denaro era solito indossare «dei beni di lusso, decisamente di lusso»: viene fatto l’esempio di un orologio dal valore di 35mila euro. Il Procuratore ha inoltre sottolineato come in questa operazione le intercettazioni hanno avuto un ruolo «fondamentale». Ha infine precisato che, nonostante l’importanza dell’evento, la mafia non è sconfitta e sarebbe un errore pensarlo: «Sarebbe l’errore più grave pensare che la partita è finita, perché non è finita». Il Colonnello Lucio Arcidiacono, che ha coordinato tutta la logistica dell’operazione, ha puntualizzato che il latitante «non ha opposto resistenza» durante il suo arresto. E che il tentativo di scappare è andato a vuoto: «Ha sicuramente cercato una via di fuga ma la cinturazione dell’area era molto ampia». Le sue condizioni, secondo il Pm Paolo Guido, sono «compatibili con il carcere».

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