Alimentazione forzata se Cospito si aggravasse? Solo con l’ok di due medici. E di Beppe Sala. Le regole sul Tso

L’ipotesi di sottoporre l’anarchico in sciopero della fame a Trattamento sanitario obbligatorio può scontrarsi con ostacoli tecnici. E politici. Li spiegano a Open un medico forense e un membo del Comitato nazionale di bioetica

I medici in servizio presso il carcere di Opera dicono che l’anarchico sottoposto al 41bis Alfredo Cospito ha un quadro sanitario stabile e non ancora allarmante, nonostante i 110 giorni di sciopero della fame. Ma nelle stanze del governo si guarda già al prossimo futuro e a quali passi dovranno essere intrapresi qualora le sue condizioni di salute dovessero peggiorare. Il premier Giorgia Meloni e il ministro della giustizia Carlo Nordio hanno già detto che sul regime carcerario di massima sicurezza non ci saranno passi indietro almeno dal fronte governativo. L’unica strada è dunque, salvo ripensamenti, la sentenza della Corte di Cassazione attesa per il prossimo 24 febbraio. Cosa succede se la situazione dovesse peggiorare prima di quella data? Secondo alcuni, anche se ha inviato al Dap una forma di testamento biologico (o Disposizione anticipata di trattamento), Cospito potrebbe essere sottoposto a Trattamento sanitario obbligatorio con alimentazione forzata. Su Libero di questa mattina, Fausto Carioti ipotizzava che il governo sarebbe pronto a consultare il Comitato nazionale di bioetica per farsi dare un parere a sostegno di questa tesi, per poi agire di conseguenza. Ma stando alle norme sul Tso, il percorso non sarà facile come può sembrare a prima vista.


Le norme che regolano il Tso

Il Trattamento sanitario obbligatorio è regolato dalla legge base del sistema sanitario locale, la 833 del 1978. «I limiti – spiega ad Open il professor Marco Marchetti, docente di psichiatria forense – sono molto chiari. Si può intervenire con un trattamento sanitario obbligatorio solo per malattia mentale. Un primo medico ed un secondo sanitario che controfirma la richiesta devono attestare che il paziente non è in sé. La decisione finale spetta al sindaco o ad un delegato del sindaco. E in ogni caso il paziente sottoposto al Tso viene curato con farmaci psichiatrici, non alimentato forzatamente. Un malato di anoressia ad esempio, che rifiuti il cibo e che si sia autodeterminato a non essere alimentato, può essere curato con antidepressivi ma non nutrito a forza qualora la sua volontà sia stata espressa in modo chiaro». Nel caso del detenuto Cospito, al momento internato nel carcere di Opera, significherebbe trovare due sanitari che facciano richiesta e poi convincere il sindaco competente, Beppe Sala, competente non solo per il carcere che a dispetto del nome ricade per il 90% nel comune di Milano. Non cambierebbe molto la situazione neppure se Cospito fosse spostato all’ospedale San Paolo, sempre nel comune di Milano, e sembra difficilmente percorribile l’ipotesi di scavalcare il ruolo del primo cittadino, visto che la legge 833 stabilisce che questo, sul territorio, rappresenta l’autorità sanitaria locale, dunque l’ultima parola.


Le differenze con il suicida

Da più parti si è poi sostenuto che l’intervento nel caso dell’anarchico ideologo della Fai è paragonabile a quello che si fa per limitare i rischi di suicidio in carcere: il detenuto è sotto la tutela dello Stato e quindi gli vengono tolti i mezzi con cui potrebbe far danno a se stesso. La pensa così, ad esempio, Marcello Bortolato, presidente del Tribunale di sorveglianza di Firenze che ha dichiarato ad Avvenire: «La posizione di protezione dello Stato non contempla un diritto a morire e non esclude, a mio giudizio, interventi coattivi pur nel rispetto della dignità umana». Di tutt’altro parere è invece Grazia Zuffa, membro del Comitato nazionale di bioetica (quello che eventualmente sarebbe intenzionato a sentire il governo) e tra gli autori di un parere che il comitato diede più di dieci anni fa a proposito di suicidi in carcere e dell’obbligo di impedirli: «Stiamo parlando di situazioni completamente diverse – spiega Zuffa ad Open – partiamo dal fatto che è stata da tempo riconosciuta la perfetta equiparazione tra diritto alla salute fuori dal carcere e dentro il carcere. Bene, dal 2017 esiste una legge sulle disposizioni anticipate di trattamento (o testamento biologico) che permette ai cittadini di decidere se vogliano essere curati, o alimentati o idratati, qualora non fosse loro possibile decidere, e questo vale sia fuori sia dentro il carcere». E l’obbligo di impedire il suicidio? «È tutt’altra situazione. Un conto è dire che impedisco ad una persona di buttarsi dalla finestra o appendersi ad un cappio, un conto è introdurre nel suo corpo qualcosa contro la sua volontà». E in ogni caso, bisognerebbe poi trovare il medico, ovvero i medici, decisi a farlo.

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