Mandato internazionale per Putin, l’Ungheria di Orbán si sfila: «Noi non lo arresteremmo»

Secondo il governo di Budapest la mossa della Corte «ostacola la fine della guerra». Ma l’Aia insiste: «Budapest ha ratificato il trattato e ha l’obbligo di cooperare»

L’Ungheria non è nuova ai distinguo sulle responsabilità russe nella guerra in Ucraina; né sulle risposte politiche da dare all’aggressione – dagli invii di armi a Kiev alle sanzioni contro Mosca. Ma ora la strategia della “differenziazione” del governo di Viktor Orbán si spinge oltre, sul piano del diritto internazionale. Budapest ha fatto sapere oggi infatti che non arresterebbe Vladimir Putin, dando seguito al mandato d’arresto spiccato dalla Corte penale internazionale, nel caso il presidente russo dovesse mettere piede sul suo territorio nazionale. Lo ha detto il capo di gabinetto di Orbán, Gergely Gulyás, citato dai media locali. Sebbene il governo ungherese abbia aderito alla Corte penale internazionale, ha spiegato Gulyás, il trattato «non è stato ancora promulgato poiché contrario alla Costituzione». Il mandato di arresto, ha aggiunto il capo di gabinetto, è «infelice» perché ostacola ulteriormente la fine della guerra. Immediata la replica della Corte dell’Aia: un portavoce interpellato dall’Ansa ha smentito la narrazione del governo-Orbán, precisando che l’Ungheria «ha ratificato il trattato nel 2001 e ha l’obbligo di cooperare con la Corte nel quadro dello Statuto di Roma».


Foto: Il presidente russo Vladimir Putin con il primo ministro ungherese Viktor Orbán in un loro passato incontro – Budapest, 30 ottobre 2019. EPA/ALEXEI NIKOLSKY / SPUTNIK


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