Esclusa dal concorso per entrare in polizia per un tatuaggio (poi cancellato): la Cassazione conferma

La Corte ha dato ragione al Consiglio di Stato, che aveva sottolineato come il tatuaggio non sarebbe stato coperto dall’uniforme

La Cassazione ha confermato la decisione di escludere Karen Bergami dalla Scuola superiore di polizia per colpa di un tatuaggio. La 34enne di Bologna si era vista negare la partecipazione al concorso per diventare agente nel 2018, dopo che la commissione medica l’aveva dichiarata non idonea. Tutto per quel tatuaggio «in zona non coperta dall’uniforme». A poco era servito che la donna avesse cominciato la procedura con il laser per cancellare quel tatuaggio fatto sul dorso del piede a 16 anni. Le mancava appena un mese perché fosse cancellato del tutto, ma la commissione all’epoca era stata inflessibile. Bergami si era rivolta Tar, dove aveva visto accogliere il suo ricorso, riuscendo a farsi riammettere con riserva al concorso e poi ai corsi, con conferma nel febbraio 2020. Il Consiglio di Stato però ha ribaltato la decisione, perché quel tatuaggio non veniva coperto dalla divisa riservata agli agenti di sesso femminile. Finché non è arrivata la decisione della Cassazione, secondo cui il giudizio di esclusione è di fatto insindacabile. Nell’ordinanza i giudici hanno infatti scritto: «Consapevole del fatto che le disposizioni limitative in materia di tatuaggi coinvolgono il tema delle libertà costituzionali, in particolare della libertà di espressione, e che, proprio per questo, il giudice deve evitare, nel momento interpretativo, letture restrittive della normativa regolamentare che si risolvono in un esito discriminatorio per le donne che intendono accedere in polizia di Stato, tenuto conto della diversa uniforme femminile che, in alcuni casi non copre in modo identico ai pantaloni». La Cassazione ha considerato non sindacabile il giudizio del Consiglio di Stato, in assenza di difetti di giurisdizione, anche in eventuale caso di cattivo esercizio della stessa.


Leggi anche: