L’ira degli Stati Uniti da un lato, che si sono visti sfuggire la consegna di un ricercato russo, dall’altro il tentativo di ricostruire le falle nel sistema giudiziario italiano, che avrebbero portato all’evasione di Artem Uss. Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha ordinato un’ispezione per far luce sulla fuga dell’uomo di affari vicino a Vladimir Putin. La Corte d’appello di Milano, che aveva dato via libera all’estradizione lo scorso 22 marzo, risponde a via Arenula: non era di sua competenza disporre la detenzione in carcere per Uss. Nessuno, si legge nella relazione preparata dai giudici milanesi, avrebbe chiesto un inasprimento della misura cautelare: la richiesta, spiega la Corte d’appello, in questo caso poteva essere espletata solo dalla Procura generale o dallo stesso ministero della Giustizia. L’indagato Uss era comunque considerato a basso rischio di fuga dai domiciliari, aggravati tra l’altro dal braccialetto elettronico, poiché la sua famiglia era radicata in Italia: lui e la moglie, titolare di un’impresa, stavano per comprare una casa, i figli della coppia risultavano iscritti in una scuola italiana. Nella relazione, la Corte d’appello rileva che il ministero della Giustizia, secondo l’articolo 714 del codice di procedura penale, avrebbe potuto chiedere un aggravamento della misura cautelare. Non l’ha fatto. Tantomeno la Procura generale si è mossa in questo senso. Senza questo genere di richieste, si evidenzia nel testo inviato a Nordio, la Corte non avrebbe potuto cambiare la misura cautelare, visto che l’imputato non ha violato alcuna prescrizione. Nel caso specifico di Uss, per il quale era stata accordata l’estradizione, l’articolo 299 prevede anche che «in ogni tempo la persona della quale è domandata l’estradizione può essere sottoposta, a richiesta del ministro della Giustizia, a misure coercitive».
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