Bettino Craxi, il ricordo della figlia Stefania: «Gelosissimo e molto fisico. Lasciò i fiori dove fucilarono Mussolini»

Al Corriere della Sera la senatrice di Forza Italia racconta il rapporto con il padre: «Solo dopo la morte ho fatto pace con i suoi difetti»

«La domenica andavamo a passeggiare sul lago di Como. Un giorno ci trovammo davanti al cancello contro cui fu fucilato il Duce. Il cartello diceva: fatto storico. Craxi si indignò: “Che ipocrisia, si vergognano di quello che hanno fatto!”. Così mi portò a comprare un mazzo di fiori e a deporli dove era morto Mussolini». È uno degli aneddoti che Stefania Craxi racconta ad Aldo Cazzullo in una lunga intervista sul Corriere della Sera in cui la senatrice di Forza Italia parla di suo padre, Bettino Craxi. L’ex presidente del Consiglio e segretario del Partito socialista fu travolto da Tangentopoli e trovò rifugio in Tunisia, ad Hammamet, dove morì nel 2000. «Craxi si assunse, lui solo, una responsabilità che avevano tutti, e che tutti gli altri negarono. Furono salvati i comunisti e i democristiani schierati con loro. Gli altri furono sommersi», dice ora la figlia. Che racconta qual era il suo rapporto con “Craxi”. «Lo chiamo così per mantenere un distacco emotivo. Era un papà molto fisico. Non abbiamo una sola foto insieme in cui non siamo abbracciati o per mano. Ma era un padre impossibile», ricorda ora, «era gelosissimo di me come io lo ero di lui. Infatti sono uscita di casa a vent’anni e mi sono sposata a 23. Solo dopo la sua morte ho fatto pace con i suoi difetti. Comprese le fidanzate di troppo». La parlamentare racconta di quando ebbe uno scontro con una delle sue amanti, Anja Peroni: «Le strappai un orecchino e glielo gettai dalla finestra; l’altro lo conserva ancora. Craxi si arrabbiò moltissimo: “Voi due mi farete finire sui giornali!”. Lui era così: sfuriate terribili; ma non portava mai rancore, a nessuno. È sempre piaciuto alle donne, sin da quando aveva vent’anni, aveva già perso i capelli e non contava nulla. Mamma è stata l’unica a saperselo tenere».


La malattia e la morte

«In Italia torno da uomo libero, o non torno». Questo il desiderio dell’ex premier italiano, che però ad Hammamet morì per le conseguenze di un tumore il 19 gennaio 2000. «Sapeva che in Tunisia sarebbe morto», confida la figlia, «fu operato da medici italiani, Rigatti dal San Raffaele mentre un infermiere gli reggeva la lampada. Poi mi prese da parte la dottoressa Melogli, la diabetologa, e mi avvisò: il tumore si è esteso, non c’è più nulla da fare. Non lo dissi a nessuno, per proteggere mia madre e mio fratello. Sopravvisse un solo mese». La senatrice spiega anche di aver tentato fino all’ultimo di farlo tornare in Italia o di farlo curare in Francia, chiedendo una mediazione a Giuliano Ferrara con Massimo D’Alema, ma non ci fu nulla da fare. E poi il ricordo del giorno in cui morì: «Mia madre era a Parigi per analisi mediche. Eravamo soli lui e io. Pranzammo in cucina, gli dissi: stasera ti porto al ristorante. Lui rispose: va bene, ma ora vado a riposare. Lo trovai riverso nel letto. Urlai. Il medico non poté che constatarne la morte. Mio fratello diede l’annuncio. Fino alle 8 di sera ho risposto al telefono che suonava ininterrottamente. Minniti offrì i funerali di Stato; rifiutai. Alle 8 arrivò mio marito da Milano. Soltanto allora crollai». La parlamentare poi ha un rimprovero anche per Silvio Berlusconi: «Ad Hammamet non venne mai. Lo vidi al funerale. Piangeva. Gli dissi: “Arrivi con sei anni di ritardo”. Ma da quel giorno nella mia battaglia l’ho sempre avuto al mio fianco».


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