Resta tetraplegica dopo un intervento per un tumore benigno, due medici a processo. Il caso di Sabrina Di Girolamo: «In sala c’era uno specializzando»

Alla donna è stato riconosciuto un risarcimento danni di 1,6 milioni di euro. Ora un neurochirurgo e un anestesista dovranno difendersi in tribunale dalle accuse di lesioni colpose

Due medici sono finiti a processo per il caso che il 22 agosto 2017 ha travolto Sabrina Di Girolamo, parrucchiera di Terracina rimasta tetraplegica dopo un’operazione a un tumore benigno. «Avevo solo 36 anni, due figlie da crescere e tanti sogni. Quel maledetto giorno mi hanno tolto tutto, la mia vita è diventata un inferno. Mai e poi mai riuscirò ad elaborare questa nuova realtà nonostante siano passati quasi sei anni, il mio sorriso è per le persone che mi vogliono bene, invece le lacrime sono quelle che ho nel cuore ogni momento di questa maledetta vita». Così racconta al Corriere della Sera com’è cambiata la sua vita dopo essersi svegliata sul letto dell’Azienda ospedaliera di Verona da quello che doveva essere un semplice intervento di routine. «Mi avevano assicurato zero rischi, nessuna possibile complicazione», spiega. Ma una volta ripresa dall’anestesia, «è iniziato il mio incubo: non muovevo più gambe e braccia, anzi non le muoverò mai più». Poi la diagnosi che non avrebbe mai voluto sentire: «Gravissima tetraplegia, con impossibilità di movimento di tutti e quattro gli arti».


Chi sono i due medici e il risarcimento da oltre 1 milione

Una conseguenza che, secondo quanto deciso a dicembre dal giudice civile del Tribunale di Verona, Luigi Pagliuca, si poteva evitare. E per questo, aveva riconosciuto a Sabina e ai familiari un risarcimento dei danni pari a un milione e 600 mila euro. Stessa contestazione del giudice Mario Bruno Guidorizzi che ora ha disposto il processo per i due dottori responsabili. Ovvero il neurochirurgo che ha eseguito l’intervento, rinviato a giudizio per rispondere di lesioni colpose commesse nell’esercizio della professione sanitaria, e l’anestesista, per il quale è stata ordinata l’imputazione coatta.


Cos’è andato storto quel giorno

Tra il 2016 e il 2017 i medici avevano diagnosticato a Di Girolamo un «neurinoma dell’acustico dalle dimensioni complessive di circa 16 millimetri per 12, collocato in corrispondenza della fossa cranica posteriore». Così la 36enne per asportarlo, si è sottoposta a un intervento chirurgico di «craniectomia retro mastoidea destra che prevedeva la collocazione, in anestesia totale, della paziente in posizione semi seduta con fissaggio della testa su una tastiera a tre punte, leggermente flessa in avanti e ruotata verso destra, posizione in cui la paziente era dovuta permanere per tutta la durata dell’intervento». Ma qualcosa non è andato come doveva. Secondo quanto scrive il giudice, la manovra di posizionamento della paziente è stata effettuata nel modo scorretto, provocandole il trauma che ha determinato la tetraplegia. Ma non solo. L’autore della manovra, evidenzia il Tribunale di Verona, era stato «un semplice specializzando, che doveva essere supervisionato dal neurochirurgo responsabile e che, invece, non è stato presente come avrebbe dovuto».

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