La madre di Alice Scagni trova il coraggio di andare dal figlio in carcere: «Perché non è riuscito a parlarmi»

Antonella Zarri non ha intenzione di abbandonare il figlio: «Va condannato, ma anche curato»

«Lui mi ha fissata, io gli ho fatto ciao con la mano. Pochi minuti, poi ha fatto cenno alle guardie, come a dire: “Non ce la faccio, riportatemi in cella”». A parlare è Antonella Zarri, la madre di Alice Scagni, che è andata a trovare in carcere il figlio Alberto che ha ucciso la sorella con 12 coltellate. Un incontro che il Gip ha sempre impedito perché riteneva non ci fossero ancora le condizioni. Ma circa due mesi fa la donna è entrata all’istituto penitenziario di Marassi e si è trovata faccia a faccia con suo figlio. «Secondo me ha rivisto in me sua sorella. Gesticoliamo allo stesso modo. Aveva lo sguardo perso nel vuoto e ho temuto che gli venisse una delle sue crisi. Dopo ho saputo che ha detto che non se la sentiva e che proverà a scrivere», racconta la madre. Che in una lunga intervista al Corriere della Sera spiega che ha voluto rivederlo perché si sentiva in «dovere di dirgli che noi ci siamo e ci saremo sempre, anche se mio marito non se l’è sentita di venire questa prima volta». Al colloquio con l’inviato Alfio Sciacca sottolinea che «Alberto è una persona malata ed è mio dovere fare di tutto perché venga curato. Come tutte le mamme sarei disposta anche a vendere un rene per far curare un figlio».


«Va condannato, ma anche curato»

Questo non toglie che i genitori si siano costituiti parte civile contro di lui. E Zarri precisa, infatti: «Io voglio che venga curato, non certo tirarlo fuori dal carcere. Per quel che ha fatto deve avere la giusta pena che merita. Ma, allo stesso tempo, visto che è malato, deve essere assistito». Un tema quello della cura al figlio che la madre ribadisce a più riprese perché ha il timore che in carcere Alberto non stia ricevendo i trattamenti adatti. Le risulta che il figlio ha avuto una crisi epilettica e che sarebbe stato soccorso con ritardo. E che non lo starebbero curando per i suoi scompensi psichici. «Alberto ed Alice sono cresciuti insieme, hanno avuto la stessa educazione e si volevano terribilmente bene. Purtroppo uno è venuto male, che facciamo lo buttiamo giù dalla rupe? È questa la civiltà del nostro Paese? Se è così risparmiamoci psicologi e medici in carcere».


«La colpa è anche dei carabinieri, non solo di Alberto»

Al contempo, i due genitori riferiscono che convivono con «un grande senso di colpa, quello di non essere riusciti a proteggere i figli». «È stata una delusione scoprire che chiami il 112 per dire che tuo figlio minaccia di ucciderti, spieghi che è in cura nel centro di Salute mentale ed è fuori controllo, che può fare del male a chiunque, e ti senti rispondere che non c’è una denuncia. Ma cosa ci vuole per far capire ad un operatore che c’è un pericolo imminente?». I due genitori ora si aspettano che Alberto venga condannato, ma che venga anche confermato come seminfermo di mente. Mentre la Procura e i loro consuoceri vogliono dimostrare che è sano di mente. «Ma se Alberto è sano di mente di conseguenza non ci sono responsabilità degli agenti che non intervennero e del medico di Salute mentale. Sarebbe il modo per insabbiare tutto sulla testa di Alberto».

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