«Retribuzione e mansioni mai cambiate in 7 anni»: la storia di Federica Montagna, la giovane con autismo che ha lasciato il lavoro pagato 250 euro al mese

La madre della giovane: «All’inizio mi bastava vedere mia figlia uscire di casa e andare a lavorare come qualunque altro ragazzo della sua età. Poi, col passare del tempo, ci siamo chiesti perché continuassero a farla lavorare a quelle condizioni»

Nessun avanzamento di carriera, nessun aumento di stipendio, nessun contratto stabile, nessuna autonomia finanziaria e nessuna possibilità di costruirsi un futuro in autonomia senza dipendere dai genitori, dopo 7 anni consecutivi con lo stesso impiego nella stessa realtà. È la storia di Federica Montagna, giovane 31enne con autismo ad alto funzionamento, che dopo 7 anni di lavoro con contratto da tirocinante pagato 250 euro al mese presso l’asilo comunale di Sant’Ilario d’Enza, in provincia di Reggio Emilia, dove risiede assieme ai suoi genitori, ha deciso di lasciare l’incarico. E in un’intervista a Il Resto del Carlino spiega: «Di fatto, le mie mansioni non sono mai davvero cambiate: in mensa lavavo i piatti e sparecchiavo. Lavoravo dal lunedì al venerdì per quattro ore al giorno, sempre al mattino». Il tutto, per 250 euro al mese. Come spiegato dalla madre della giovane: «All’inizio mi bastava vedere mia figlia uscire di casa e andare a lavorare come qualunque altro ragazzo della sua età. Poi, col passare del tempo, ci siamo chiesti perché continuassero a farla lavorare a quelle condizioni e abbiamo chiesto che il suo lavoro fosse riconosciuto. Le risposte? Ci dicevano che eravamo fortunati, che di lavoro in giro non ce n’era».


L’addio al lavoro e la decisione di rivolgersi a un legale

Ma la giovane ha deciso di staccare la spina da quel contesto lavorativo in cui non si vedeva alcun orizzonte di crescita personale e professionale, e men che meno di vera e propria inclusione lavorativa di persona con disabilità. E ha deciso di rivolgersi a Laura Andrao, legale esperta in tutela della disabilità sul lavoro, che ha spiegato che quanto accaduto trova fondamento nella legge 68 del 1999 che, come chiarisce l’avvocata, «andrebbe completamente superata perché prevede inserimenti socio-occupazionali, non veri tirocini, retribuiti con cifre del tutto inadeguate a fronte del lavoro che viene svolto dalla persona con disabilità, e senza che il datore di lavoro abbia vincoli cogenti per assumere». Secondo la legale non è questo il modo di fare inclusione, bensì un metodo per «mascherare come inclusiva una situazione che è più vicina allo sfruttamento. Il mio obiettivo, ora, è di ottenere che sia predisposto per Federica un vero progetto per la vita autonoma».


La posizione del Comune e dell’Ausl di Montecchio

Sul caso è intervenuto anche il sindaco della città, Carlo Perucchetti, che ha negato responsabilità per l’amministrazione comunale, spiegando che il lavoro della giovane presso l’asilo è stato «un progetto di tirocinio formativo predisposto anni fa dall’Ausl per l’inclusione, l’autonomia e la riabilitazione di una persona con disabilità, secondo le norme di legge». E così dopo l’intervento della legale della giovane, l’Ausl locale ha deciso di prendere in mano la situazione. Nel ribadire pieno supporto alla giovane, la direttrice dell’Ausl di Montecchio, Barbara Gilioli, spiega: «Questo tirocinio è finalizzato a far acquisire a Federica la consapevolezza delle proprie capacità e possibilità, non l’autonomia economica. Il percorso della ragazza, in questi anni, si è evoluto e ora siamo in contatto con il suo avvocato per predisporre un progetto di vita autonoma». La domanda nasce spontanea: se la giovane non avesse lasciato il lavoro e non si fosse rivolta a un legale cosa sarebbe successo?

Foto in copertina: Il Resto del Carlino / Federica Montagna e la madre

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