Torino, il malato di Alzheimer preso a martellate dal figlio e l’esperto: «Non sottovalutate lo stress dei caregiver»

L’uomo è in condizioni gravi ma stabili. Il punto di vista di Innocenzo Rainero, responsabile del Centro Alzheimer della Città della Salute di Torino

Gravi ma stabili. Sono queste le condizioni in cui riversa Enrico Placido Sergi, il 71enne che sabato 29 aprile è stato colpito dal figlio Raffaele (46enne) con un martello nel cortile del suo condominio, a Torino. È intubato in terapia intensiva e la prognosi è ancora riservata. L’anziano soffriva di Alzheimer e il figlio, ora accusato di tentato omicidio, spesso lo accompagnava a prendere il giornale per incentivarlo a camminare e restare sveglio. Ma quel giorno esasperato dalle conseguenze della malattia del padre si sarebbe fatto prendere da un raptus. O almeno questo è quanto ha dichiarato agli inquirenti, che stanno indagando per capire se ci sia stata premeditazione o meno e se il 46enne soffre di problemi psicologici. Secondo l’esperto Innocenzo Rainero, responsabile del Centro Alzheimer della Città della Salute di Torino, non va sottovalutato il ruolo delicato del caregiver a chi soffre di Alzheimer.


I supporti a chi ha un parente malato di Alzheimer

«Questo è un caso limite e per fortuna molto raro nella sua drammaticità ma ci deve far capire quanto sia importante il ruolo di chi assiste i malati di demenza senile e in particolare di Alzheimer. Soprattutto perché è una malattia sempre più diffusa», spiega in un’intervista di Federica Cravero a Repubblica. «Per la lunga durata che può avere la malattia, noi teniamo in grande considerazione lo stress di chi assiste il paziente, soprattutto quando si tratta di coniugi o figli», sottolinea Rainero. Che racconta come secondo alcuni studi il fatto stesso di essere un caregiver aumenta i rischi di morte, di infarto, ictus e diabete. L’esperto ci tiene poi a evidenziare come gli aiuti dei servizi alle famiglie ci sono e sono molti. Anche se hanno subito un arresto con la pandemia, ora stanno riprendendo. Si va dagli assistenti sociali che si appoggiano ai Cdcd, i Centri per il declino cognitivo e le demenze agli Uvg, le Unità di valutazione geriatrica, che attivano gli assistenti sociali.


«C’è un problema culturale, ma la prevenzione potrebbe salvare»

«Le famiglie sono tradizionalmente portate a pensare che la perdita della memoria sia connaturata all’avanzare dell’età e sottovalutano il problema. Invece quando si invecchia si può perdere al massimo il 10/15% della memoria ma quando la situazione è più grave e la persona è disorientata, non si deve temporeggiare: la questione va subito affrontata con uno specialista», spiega ancora il ricercatore. E sottolinea come dietro l’Alzheimer ci sia un grave problema culturale. «La scienza ha fatto grandi progressi nello studio e nella cura di questa malattia. Sono stati scoperti nuovi farmaci, e sono stati resi noti dall’Oms anche fattori legati alla demenza senile che, se presi in tempo e affrontati con la giusta terapia, possono essere reversibili».

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