In 3 mesi 6 miliardi di utili per le prime 15 banche italiane: boom grazie ai tassi della Lagarde. Governo tentato di tassarli extra

Il governo di Giorgia Meloni sempre più tentato di estendere al sistema del credito la tassazione sugli extraprofitti già applicata per il settore energetico

Le prime quindi banche italiane hanno registrato 6,043 miliardi di utili netti nel periodo gennaio-marzo 2023, quasi triplicando i 2,2 miliardi di utili ottenuti nel primo trimestre del 2022. Un risultato record in gran parte dovuto alla loro capacità di cavalcare subito con mutui e prestiti il continuo aumento dei tassi deciso dalla presidentessa della Bce, Christine Lagarde. Secondo il governo italiano però quegli utili nascerebbero da una manovra a senso unico, perché non c’è stato un parallelo rialzo dei rendimenti su depositi e conti correnti della clientela. I sei miliardi di utili netti sono stati ottenuti per gran parte dai due primi gruppi bancari italiani. Intesa Sanpaolo ha chiuso i conti del primo trimestre 2023 con un utile di 1,956 miliardi di euro quasi raddoppiato rispetto all’utile di 1,043 miliardi di euro dello stesso periodo del 2022. Unicredit ha fatto il suo migliore utile netto trimestrale di 2,1 miliardi di euro che viene confrontato con i 247 milioni di euro dell’anno precedente dopo avere spesato i costi della crisi russa. Anche Mps ha fatto registrare 235,7 milioni di euro di utile contro i 9,7 milioni di euro del primo trimestre 2022.


Tutti i conti delle banche sono migliorati sensibilmente rispetto a un anno prima, e quei 6 miliardi in 3 mesi delle prime 15 banche sono ancora più evidenti se raffrontati con i 12,9 miliardi di utili ottenuti in tutto l’anno 2022 dalle prime 25 banche italiane, come certificato dai rispettivi bilanci che le assemblee societarie stanno approvando in queste settimane. È evidente che non si tratta solo di bravura dei singoli banchieri e amministratori, ma di una situazione congiunturale (quella dei tassi) che accomuna tutte le banche, tanto più se sono così rapide nell’alzare le condizioni ai debitori e assai mano rapide ad adeguare i rendimenti ai risparmiatori. È proprio questa divaricazione tutta a favore delle banche che ha fatto accendere al governo di Giorgia Meloni un faro sul sistema, rendendo sempre più probabile l’estensione al sistema del credito di quella tassazione sugli extraprofitti che era stata applicata alle aziende che vendevano elettricità, gas e petrolio. Una ipotesi sempre più realistica (secondo le prime bozze verrebbero tassati le banche sui conti con rendimenti ancora troppo vicini allo zero) che però divide in questo momento i banchieri.


L’unico ad essere stato comprensivo con il governo fin qui è sembrato essere il numero uno di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, che ha detto: «Osserveremo con rispetto ogni decisione presa dal governo. Allo stesso tempo auspichiamo che questi prelievi aggiuntivi, nel caso in cui nuove norme fiscali trovassero applicazione, vengano utilizzati per far fronte alla maggiore emergenza sociale del paese, quella della crescita delle disuguaglianze, adottando misure per chi si trova in maggiore difficoltà». Assai diversa la reazione del suo omologo in Unicredit, Andrea Orcel, che si è schierato polemicamente contro alla tassazione degli extra profitti bancari, durante una intervista a Class Cnbc in cui ha detto: «Non mi sembra giustificato né accettabile aumentare la tassazione su un solo settore, e non su tutte le imprese». Orcel ha anche minacciato velatamente una ritorsione da parte degli istituti di credito per lui ingiustamente tassati: «Questo spingerebbe», ha detto, «le banche a non proseguire nella loro attività sociale”. Il manager Unicredit ha citato in proposito gli aiuti dati ai dipendenti delle stesse banche per affrontare il caro-bollette, o le iniziative per allungare la vita di mutui e prestiti per clienti in difficoltà: “Se costrette a pagare nuove tasse», ha sostenuto Orcel, «le banche considererebbero assolta così la propria attività sociale».

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