La storia di Marco, abusato dall’educatore-pedofilo a capo della Onlus: «Ha aiutato un sacco di famiglie. E molti lo difendono»

Il 25 enne era entrato nell’associazione su segnalazione dei servizi sociali

«Quattro della vecchia generazione, con me e il mio amico siamo sei, più questi ragazzi di ora. Non sono solo tre come ho letto sui giornali, le vittime di Alessandro sono almeno una decina». A parlare è Marco (nome di fantasia, ndr), uno delle vittime di Alessandro Angeli, l’educatore 48enne che ospitava minorenni in casa per averci rapporti sessuali. «Parliamo di una cooperativa che gestiva campi scuola da 50, 60 iscritti, 3 corsi ogni estate. Avete idea di quanti ragazzini ha incontrato?», dice Marco, ragazzo di circa 25 anni. All’epoca degli abusi ne aveva 9, ma i rapporti sarebbero iniziati poco dopo. Riferisce di non essere stato l’unico a subire quanto denunciato «perché è stato con me e con un altro ragazzino insieme».


Il dramma

Marco era entrato nell’associazione di Alessandro su segnalazione dei servizi sociali. «Quando ho iniziato il percorso lo incontravo settimanalmente, da solo o in gruppo. Andavamo al laser game, al parco di Villa Ada, a vedere il Colosseo o a fare attività culturali. Ho ricordi fighissimi», premette il giovane a Repubblica. Angeli aveva aperto una casa famiglia confiscata alla Banda della Magliana, e adesso ha un gruppo di protezione civile. «Capite qual’è il dramma? Ha aiutato un sacco di famiglie. Per anni si è creato l’immagine del buon samaritano, il grande pastore che guida la collettività. Sono stati dati soldi su soldi per sovvenzionare i suoi progetti. E spesso finivano in quel modo», continua il 25enne.


La manipolazione

«Lui sa cosa vuol dire giocare con le esperienze di un bambino e ha fatto leva sulla sua figura di educatore per occuparsi anche della nostra sessualità, precisa Marco che ha avuto a che fare con lui per ben 10 anni. Ma ad un certo punto ha conosciuto altre persone, è cresciuto e ha trovato la forza di raccontare gli abusi. «Tanti ragazzi lo difendono parlando di consensualità, ma posso immaginare in quali condizioni psicologiche si trovino. Non è legittimo quello che è successo», conclude.

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