Silvio Berlusconi, «Il Fatto» lo manda davanti al giudice per l’ultima volta

Il sito del Fatto Quotidiano, nemico numero uno del Cav nel mondo dell’informazione, dopo la sua scomparsa, pubblica un ritratto senza sconti

«Il primo dei populisti». Così il giornale di Marco Travaglio, nemico numero uno di Silvio Berlusconi nel mondo dell’informazione, definisce nell’edizione web diretta da Peter Gomez. il Cavaliere in un articolo comparso poco dopo la notizia della sua morte, dal lungo titolo: Silvio Berlusconi è morto – Primo dei populisti, recordman di inchieste dalla corruzione alla mafia, mago della comunicazione. Un primo (molto parziale) ritratto dell’imprenditore che si inventò politico. Nel pezzo, firmato da Mario Portanova, vengono spiegati meglio questi concetti: si riconosce, innanzitutto, che «Berlusconi fu abile a coprire la voragine lasciata dal pentapartito cancellato dopo le inchieste giudiziarie su corruzione e malaffare». Proseguendo, si afferma che Berlusconi «ha anticipato diverse caratteristiche» dei «leader populisti, oggi detti sovranisti». Questo perché è stato molto amato e molto odiato, «insofferente verso i meccanismi che in democrazia bilanciano i poteri». E soprattutto «leader unico e indiscusso», i cui «interessi e guai personali paralizzarono il Paese».


I guai giudiziari

Guai soprattutto giudiziari, viene ricordato: per «corruzione, evasione fiscale, reati societari. Persino, incredibilmente e a più riprese, per le stragi di mafia». Che, indipendentemente dagli esiti dei procedimenti giudiziari, vengono richiamati senza sconti: «l’oscura origine di parte delle sue fortune e un’ascesa favorita da rapporti con mafiosi, da aiutini e aiutoni della vituperata Prima Repubblica, dal macroscopico conflitto d’interessi, dall’evasione fiscale sistematica, da una connaturata repulsione per le norme».


Così come vengono ricordate le parabole giudiziarie del suo inner circle, da Vittorio Mangano a Cesare Previti, passando per Marcello Dell’Utri e Lele Mora. Il bilancio finale è spietato: il suo operato, scrive l’autore, «è legato indissolubilmente a un’epoca, ma non a una svolta epocale, a una qualsivoglia riforma». Bensì allo «sdoganamento dei partiti post fascisti come possibili alleati di governo». «Tolto questo – è la conclusione -, resta un po’ poco per l’uomo che prometteva il nuovo miracolo italiano. Alla fine, Silvio Berlusconi ha contribuito a mantenere vecchio questo Paese. Vecchio come le barzellette che raccontava, le canzoni che cantava, la galanteria volgarotta che esibiva, l’Italia che metteva in scena – salvo alcune lodevoli eccezioni – nelle sue tv. E forse, di nuovo, a molti andava bene così».

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