Matteo Di Pietro allevato da papà Paolo nella tenuta del Quirinale. Nel 2009 la Finanza perquisì casa per un buco di cassa, ma era innocente – Il video

Il padre dello youtuber che guidava il Suv Lamborghini nell’incidente in cui è morto il piccolo Manuel Proietti è al centro delle polemiche per un vecchio video in cui guidava una Ferrari con suo figlio. La famiglia però già in passato era stata al centro di un’altra vicenda salita agli onori della cronaca giudiziaria

Matteo Di Pietro, lo youtuber che era al volante al momento del tragico incidente di Casalpalocco dove ha perso la vita un bimbo di 5 anni, è cresciuto all’interno del Quirinale, in una casa denominata “Coventino” all’interno della splendida Tenuta Presidenziale di Castelporziano. Il papà Paolo Di Pietro ebbe diritto a quell’alloggio quando divenne il vice dell’allora cassiere della stessa tenuta Gianni Gaetano, all’epoca di Carlo Azeglio Ciampi presidente della Repubblica e di Gaetano Gifuni segretario generale del Quirinale. Oggi il padre dello youtuber è al centro delle polemiche social dopo la diffusione di un video in cui partecipando a una delle challenge del figlio (che voleva realizzare 10 sogni di suoi amici e familiari) guida una Ferrari a Roma spingendo sull’acceleratore, ma rigorosamente senza cintura di sicurezza. Questa tragica passione per i motori e la velocità è evidentemente patrimonio di tutta la famiglia. Ma non è solo questa ultima tragedia ad avere portato quella famiglia nel ciclone della cronaca giudiziaria.


Quando Matteo aveva poco più dell’età del bimbo ora morto nell’incidente di guida, la mattina del 30 ottobre 2009 i finanzieri all’alba bussarono a quella “casa Coventino” della tenuta presidenziale con in mano un mandato di perquisizione per rovistarla da cima a fondo. Papà Paolo era infatti indagato per una brutta storia a lungo tenuta segreta che riguardava una gestione assai allegra della cassa di Castelporziano. L’unica cosa che poi la magistratura avrebbe accertato con sicurezza è che nel giro di pochi anni in quella cassa c’era un ammanco di quasi 5 milioni di euro. Ogni anno dei 2,5 milioni di finanziamento del Quirinale per pagare i costi della tenuta ne sparivano almeno 500 mila euro. Un anno anche più di 800 mila euro.


L’inchiesta fece tremare Roma, perché fra gli indagati e condannati in primo grado oltre al cassiere titolare e ad altri funzionari ci fu il potentissimo segretario generale del Quirinale Gifuni, che fu il braccio destro prima di Oscar Luigi Scalfaro e poi di Ciampi. Con lui stessa condanna al nipote acquisito Luigi Tripodi, che durante il segretariato di Gifuni fu nominato direttore dei giardini e delle tenute quirinalizie. Le condanne di primo grado furono pesanti, il cassiere ammise gli ammanchi e patteggiò la pena, poi nel corso degli anni sia Gifuni che il nipote e gli altri funzionari sarebbero usciti dagli altri gradi del processo in parte per intervenuta prescrizione dei reati di cui erano accusati, in parte per assoluzione da altri capi di accusa. Le accuse nei confronti di Paolo il papà dello youtuber furono invece archiviate già durante l’udienza preliminare su richiesta della stessa pubblica accusa, che chiese di procedere nei suoi confronti solo per omessa denuncia (ma il gip decise di non farlo). L’indagine però durò molti mesi e scosse la famiglia Di Pietro. Alla fine, però, provata la sua innocenza mantenne il posto al Quirinale e il diritto a risiedere a “casa Coventino”.

Negli atti processuali spuntò un bigliettino scritto dallo stesso papà dello youtuber al suo padre spirituale. Portava la data del 3 febbraio 2009 e rivendicava la sua innocenza anche se ammetteva di conoscere quella gestione allegra della cassa, ma di avere girato la testa dall’altra parte per paura di perdere il lavoro. «La tranquillità e la pace della mia famiglia», scriveva Paolo Di Pietro, «è minata da una responsabilità che non ho e che non mi si accusa, ma probabilmente dipendente dal solo fatto che in questi anni non ho avuto il coraggio di denunciare gli altri ed il loro operato. Mi domando!! Ma una persona che dipende da altre persone e Capi, come può denunciare l’operato di un superiore quando lo stesso e poi anche più su nella lunga scala gerarchica sanno e non dicono, vedono e lasciano correre, approvano e distruggono la moralità dei giusti? Ho da rimproverarmi solo il fatto di avere scelto e preteso sempre di lavorare a Castelporziano (…) A questo punto semmai dovessero spostarmi di sede di lavoro, metterei a rischio l’intero equilibrio familiare… non mi spaventa il carico di lavoro ed il sacrificio del viaggio, ma certamente nella mia coscienza suonerebbe e riecheggerebbe come una grave punizione, Si vuole ledere la mia integrità morale, si vuole offendere la mia persona e mortificare pubblicamente la mia immagine per la sola responsabilità di avere lavorato in questo posto e con chi !!!».

Leggi anche: