«Maggiore integrazione e bilancio centralizzato». L’Unione europea del futuro secondo Mario Draghi

Le parole dell’ex premier e presidente Bce al National bureau of economic research di Cambridge, Massachusetts

Tantissime sfide, il rischio di perdere il passo rispetto alle superpotenze, la necessità di cambiare le regole comunitarie. E tutto porta nella stessa direzione: maggiore integrazione tra gli Stati membri. Nella sua lectio a Cambridge, in Massachussets, Mario Draghi indica qual è la strada da seguire affinché l’Unione Europea si rafforzi e sia in grado di raggiungere i propri obiettivi. Ma soprattutto, di darsene di nuovi. L’integrazione deve avvenire attraverso un «genuino processo politico», che coinvolga gli Stati e i popoli dell’Unione, «dove l’obiettivo finale sia esplicito sin dall’inizio e sostenuto dai votanti nella forma di un cambio dei trattati europei». È necessaria quindi una revisione degli strumenti che fin qui l’hanno tenuta in piedi. Lotta al cambiamento climatico e nuovi equilibri geopolitici sono tra le sfide più vicine con cui deve confrontarsi l’Unione. L’ex presidente del Consiglio e della Banca centrale europea prende le mosse del suo ragionamento da un aspetto indirettamente collegato. Occorrono 600 miliardi all’anno da qui al 2030 per la transizione ecologica. «Una volta che il NextGenEu si esaurirà, non ci sarà più nessuno strumento comune per affrontare gli investimenti», avverte Draghi. È questa l’urgenza, immediata, che deve spingere gli Stati membri a ripensare l’architettura che li tiene uniti.


Una nuova Unione Europea

«Le strategie che ci hanno assicurato prosperità e sicurezza, e cioè affidarci agli Usa per la sicurezza, alla Cina per l’export e alla Russia per l’energia, sono diventate insufficienti, incerte e inattuabili», ragiona l’ex premier. Per questa è necessaria maggiore coesione: «Sono sicuro che gli europei sono più pronti rispetto a vent’anni fa a prendere la via giusta: la scelta è fra paralisi, uscita o integrazione». La paralisi, va da sé, non può essere un’opzione. E l’uscita, lo dimostra la Brexit, ha «benefici molto incerti e costi tutti visibili». Per questo, dice Draghi, gli europei sono pronti rispetto a venti anni fa, quando i tentativi di riforma istituzionale fallirono con i no dei referendum in Francia e Olanda alla costituzione: «Ora c’è maggiore speranza, i sondaggi ci dicono che i cittadini sentono un crescente senso di minaccia esterna soprattutto dall’invasione russa e questo rende la paralisi inaccettabile». Ma deve esserci un processo politico, ha sottolineato, non tecnocratico, evitando gli errori del passato: «Mentre si prospetta un’integrazione dei Balcani e dell’Ucraina, è essenziale riaprire i trattati per evitare gli errori fin qui compiuti, espandendo la periferia senza rafforzare il centro».


Mario Draghi, come racconta Repubblica, suggerisce di «rubare» al sistema federale statunitense il sistema secondo cui i trasferimenti federali possono intervenire per sanare temporanee difficoltà e per finanziare obiettivi condivisi. Ma questo non può prescindere da una strategia davvero comune, condivisa. Anche per evitare i paesi più ricchi, con «maggiore capacità fiscale, risolvano da sé i loro problemi», aumentando la frammentazione di obiettivi e direzione, «mentre – spiega ancora l’ex presidente della Bce – gli obiettivi sono irraggiungibili se non in comune». La sola opzione, suggerisce, è «ridefinire la Ue, il suo quadro di regole di bilancio e, con un ulteriore allargamento sul tavolo, anche il suo processo decisionale». Perché il rischio è quello di non raggiungere gli obiettivi sul clima e «forse perdere la nostra base industriale ad aree del mondo che si impongono meno limiti».

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