Solo la Spagna più veloce dell’Italia sul Pnrr, altri 25 paesi sono peggio

Un problema sulla terza rata c’è, e risale a Mario Draghi e Daniele Franco

L’Italia è al secondo posto fra 27 paesi europei per lo stato di avanzamento nella realizzazione di progetti del Pnrr. Davanti c’è solo la Spagna che è il solo Paese ad avere ottenuto il 31 marzo scorso l’erogazione della terza rata dalla commissione europea. La Spagna nelle tre rate ha ricevuto 28 miliardi di euro, mentre l’Italia in due rate ha ricevuto 42 miliardi di euro ed è in attesa dell’esborso della terza rata di 19 miliardi di euro che porterebbe il totale a 61 miliardi di euro.


In Germania siamo alla rata zero

Alle spalle dell’Italia c’è la Grecia, che ha già ottenuto due rate del Pnrr (7,2 miliardi di euro) e ha chiesto la terza rata, però cinque mesi dopo la richiesta formale dell’Italia a Bruxelles. Ad avere ricevuto la seconda rata del Pnrr ci sono anche Portogallo, Croazia e Slovacchia, ma nessuno dei tre paesi ha ancora istruito la pratica per la terza rata. Dodici paesi – fra cui Austria, Francia, Lussemburgo e Danimarca – hanno ricevuto fino ad oggi solo la prima rata e nove di loro non hanno ancora richiesto la seconda. Infine, nove paesi – fra cui Germania, Belgio, Svezia e Irlanda – sono ancora in attesa dell’erogazione della prima rata.


La terza rata però attende da troppo

I dati pubblicati sul sito della stessa Commissione europea dunque dicono che non è motivata la polemica sui presunti ritardi dell’Italia nell’attuazione del Pnrr. La sola cosa anomala in realtà è il tempo eccessivamente lungo con cui la commissione europea sta valutando la veridicità dei 55 obiettivi realizzati per ottenere la terza rata. La richiesta di finanziamento è stata trasmessa il 30 dicembre 2022 dal governo di Giorgia Meloni ma su documentazione in gran parte istruita dal governo di Mario Draghi (che aveva fissato tutti i 55 obiettivi). Il tempo massimo che la commissione si è presa per dare l’ok all’esborso di una qualsiasi rata del Pnrr a qualsiasi Paese è stato 5 mesi. Nel caso della terza rata italiana siamo già al settimo mese avanzato.

La confessione di Draghi

Che sulla terza rata ci fosse per altro più di un problema è stato messo nero su bianco da Draghi e dall’allora ministro dell’Economia Daniele Franco nella prima versione della Nadef lasciata in eredità a settembre 2022 al governo Meloni. Fu proprio in quell’occasione che il governo uscente ammise di essersi trovato con il Pnrr molte più difficoltà di quelle preventivate. Draghi e Franco spiegarono: «L’ammontare di risorse effettivamente spese per i progetti del Pnrr nel corso di quest’anno sarà inferiore alle proiezioni presentate nel Def per il ritardato avvio di alcuni progetti che riflette, oltre ai tempi di adattamento alle innovative procedure del Pnrr, gli effetti dell’impennata dei costi delle opere pubbliche».

Il presunto regalo alla Meloni

Per questo motivo Draghi che si è reso conto di non potere raggiungere gli obiettivi previsti nel 2022, cercò di ingentilire la cosa sostenendo che i soldi non spesi dal suo governo avrebbero potuto essere spesi in più nel 2023 con beneficio del Pil in un anno che altrimenti sarebbe stato di stagnazione: «Il prossimo anno», scrisse, «la crescita del Pil beneficerà dello slittamento di una parte cospicua di alcuni investimenti del Pnrr originariamente calendarizzati nel 2022». Poi l’allora premier allargò metaforicamente le braccia: «La concreta attuazione dei progetti del Pnrr si sta rivelando complessa. Ciò deriva dal fatto che molti progetti altamente innovativi sono attuati tramite la predisposizione di bandi di concorso. Lo svolgimento dei bandi richiede tempo e spinge inevitabilmente la spesa prevista per il 2022 verso gli anni 2023-2026, periodo in cui sono attesi i maggiori effetti economici del Pnrr».

Beccati sugli studentati

Il problema della terza rata nasce proprio da quei rinvii decisi dal governo precedente. E anche da un punto che avrebbe dovuto essere realizzato nel 2022 e che sembra invece ben lontano da quel che era stato promesso, come si è capito dalle proteste studentesche della scorsa primavera. «Tramite l’utilizzo», avevano scritto Draghi e Franco, «di risorse già previste per il Pnrr si istituisce il “Fondo per l’housing universitario” finalizzato ad acquisire la disponibilità di nuovi posti letto per studenti delle istituzioni della formazione superiore». Secondo i primi controlli fatti dai tecnici della commissione europea è proprio questo fondo a fare problema, perché in una decina di casi da loro verificati i soldi del fondo sarebbero stati impiegati per acquisire posti letto già usati dagli studenti, e quindi non “nuovi” come indicava invece la missione.

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