«Bullo non è un’offesa». La giudice di Firenze dà torto a Renzi nella causa contro La Verità

La decisione della giudice che gli aveva dato torto anche contro Travaglio: «Vorrebbe impedire al libero giornalismo di informare»

Una nuova causa civile segnata da una sconfitta, per il senatore e direttore di giornale Matteo Renzi. A darne notizia è La Verità, con un articolo a firma di Giacomo Amadori che cita la sentenza della giudice Susanna Zanda. La richiesta di risarcimento è stata ritenuta «infondata», si legge sul giornale guidato da Maurizio Belpietro, e dunque Renzi è stato condannato a pagare 38.000 euro di spese. Sebbene infatti, il senatore abbia elencato vari articoli che avrebbero danneggiato la sua immagine, secondo la giudice che cita anche le prese di posizione della Corte europea sulla libertà di informazione, «si può concludere che l’attributo “bullo” quand’anche ripetuto e diffusamente impiegato verso uno stesso uomo politico non possa essere considerato diffamatorio».


L’interesse pubblico

Secondo la giudice, «è di interesse pubblico sapere che per esempio i genitori o i fratelli del cognato di un uomo che abbia la gestione della Cosa pubblica siano indagati per reati come quelli descritti negli articoli di cui si duole» l’ex sindaco di Firenze. Renzi invece, scrive Zanda, «fondamentalmente vorrebbe impedire al libero giornalismo di informare la popolazione di questi fatti, solamente perché egli non era iscritto nel registro degli indagati».


Il risarcimento chiesto

Come era già successo in passato in una causa contro il direttore de il Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, la giudice Zanda redarguisce anche per la somma, «eccessiva», chiesta, 2 milioni di euro: «Quasi sette volte il pretium doloris della perdita di un figlio, secondo le tabelle milanesi per il danno parentale. Il massimo che ordinariamente si potrebbe richiedere per diffamazione è la somma di 50.000 euro». All’epoca della causa contro Marco Travaglio la medesima giudice aveva accusato Renzi di «usare il tribunale civile come una sorta di bancomat dal quale attingere somme per il proprio sostentamento, anche quando lo si coinvolge senza alcun fondamento».

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