Trapani, il tribunale dice sì al cambio nome e all’identità di genere di Emanuela senza terapia ormonale e intervento chirurgico

Il caso non è né il primo, né l’unico in Italia. Per questo motivo, spiega a Open Roberta Parigiani, avvocata e portavoce del Mit, «non si tratta di una vera e propria notizia, ma stando a quello che sappiamo è una normalissima sentenza post 2015»

Emanuela potrà cambiare nome e identità di genere all’anagrafe senza aver effettuato un intervento chirurgico e (soprattutto) senza aver assunto una terapia ormonale. Lo ha deciso il tribunale di Trapani, che nei giorni scorsi le ha riconosciuto il diritto di autodeterminazione. «Deve essere una libera scelta. In tante la fanno, io non ho voluto: mi sono sempre sentita una donna e non do importanza al mio aspetto e a quello che pensano gli altri. Non devo dimostrare nulla. Del resto ci sono persone che grazie alle terapie ormonali diventano donne bellissime, ma che alcuni continuano a considerare uomini», ha detto la 53enne a Corriere della Sera. Come ha spiegato Open, nella sua inchiesta Il diritto (negato) di essere transgender, l’iter che devono affrontare coloro che decidono di chiedere la rettifica dei propri dati anagrafici, è lungo e tortuoso. E seppur esiste una grande discrepanza tra quello che prevede la legge e quanto avviene nella prassi, a partire da una sentenza della Corte di Cassazione del 2015, chi decide di intraprendere questo percorso verso una piena autodeterminazione non è più obbligato a sottoporsi all’operazione chirurgica di cambio sesso. Per questo motivo, secondo Roberta Parigiani, avvocata e portavoce del Mit sentita da Open, la vicenda di Emanuela «non è una vera e propria notizia, ma stando a quello che sappiamo è una normalissima sentenza post 2015». Stando alle parole dell’avvocato che ha assistito Emanuela, il legale Marcello Mione sentito da Open, l’ok dei giudici al cambio nome senza terapia ormonale e intervento chirurgico è arrivata dopo «un attenta perizia disposta dal Tribunale a cui è stata sottoposta la mia assistita e che ne ha accertato il carattere definitivo della sua intenzione», dice il civilista. «Tale valutazione è stata effettuata per verificare se sussistono i requisiti per poter accogliere la richiesta: in questo caso – continua l’avvocato – secondo l’elaborazione giurisprudenziale i requisiti non sono solo di tipo estrinseco, ma anche estrinseco nella sua intimità personale. E la perizia, disposta dal giudice che ha ascoltato di persona Emanuela, ha stabilito che la sua intenzione era definitiva, univoca e seria». 


La sentenza del 2015 e l’abolizione dell’obbligo di operazione chirurgica

Il caso di Trapani non è né il primo, né l’unico. Il precedente giudiziario con cui per la prima volta si è concesso di rettificare genere e nome senza intervento chirurgico è del tribunale di Roma e risale a 12 anni fa. A seguito di quel primo risultato, ottenuto dal legale di  Gender X Giovanni Guercio, Avvocato del Foro di Roma, sono state portate richieste analoghe in altri tribunali italiani, accolte a Parma, Bologna, Messina. Ma non in altre città, come appunto Catania e Ravenna. Nel 2015, però, la svolta. Nella sentenza n. 221 la Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità delle norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso, in particolare dell’art. 1 della legge n. 164 del 14 aprile 1982,  ha stabilito che «il raggiungimento dello stato di benessere psico-fisico della persona si realizza attraverso la rettificazione di attribuzione di sesso, e non già con la riassegnazione chirurgica sul piano anatomico». Il diritto all’identità di genere quale elemento costitutivo del diritto all’identità personale, rientra infatti nell’ambito dei diritti fondamentali della persona garantiti dall’art. 2 della Costituzione e dall’art. 8 della Convenzione europea dei diritti umani. I giudici hanno inoltre sottolineato all’epoca che «la mancanza di un riferimento esplicito, nel testo normativo, alle modalità (chirurgiche, ormonali, o conseguenti ad una situazione congenita), attraverso cui si realizza la modificazione, «porta ad escludere la necessità, ai fini dell’accesso al percorso giudiziale di rettificazione anagrafica, del trattamento chirurgico».


La terapia ormonale

Non è neppure la prima volta che si verifica la rettifica del genere e del nome senza terapia ormonale. Il 7 marzo dello scorso anno, infatti, come ha spiegato a Open Giulia Senofonte, endocrinologa specializzata nei percorsi di terapia gender affirming, c’è stata una sentenza storica del Tribunale di Roma dove è stata riconosciuta a una persona transgender – in quello specifico caso, con identità di genere non binaria – la non obbligatorietà della terapia ormonale di affermazione di genere per accedere al cambio dei documenti. Si era trattata di una vittoria a metà, poiché il quello specifico caso la persona non binaria ha dovuto scegliere un genere perché il nostro resta un sistema dicotomico che non prevede il genere neutro.

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