Secondo l'articolo, il capoluogo partenopeo starebbe perdendo la propria identità
Le Monde e il Times parlano di Napoli. Il quotidiano francese lo fa addirittura in prima pagina, e non per tessere le lodi della città partenopea. Bensì scrivendo di una«esplosione del turismo e della gentrificazione». Fenomeni che hanno i loro lati positivi, ma non solo. Illustra Le Monde: «I Quartieri spagnoli, vicini al porto, dove fiorivano la prostituzione, il contrabbando e traffici vari», scrive Allan Kaval inviato nella città alle pendici del Vesuvio, quelli che per antonomasia costituiscono una delle zone più veraci di Napoli, «sono ormai saturi di bed and breakfast, negozi di souvenir, appartamenti in affitto su Airbnb», continua Kaval. «Parte degli abitanti teme di vedere la città diventare una seconda Barcellona, sottratta alle classi popolari, asettica e mercificata», si legge nell’articolo nel quale appaiono diverse interviste a chi nei quartieri spagnoli ci è nato e cresciuto.
Lo spritz Aperol «che unisce l’Italia»
Il senso è chiaro, Napoli starebbe perdendo la propria identità. I bar dei quartieri spagnoli «servono spritz Aperol da portar via, un cocktail del grande Nord veneziano sbarcato a Napoli, come una forma di unità d’Italia dettata dai desideri espressi dai visitatori stranieri», continua le Monde che snocciola i dati. «L’esplosione del turismo con un numero di visitatori annuali passato da 3,2 milioni nel 2017 a 12 milioni nel 2022, su 3 milioni di abitanti, viene percepita, malgrado i rischi che comporta, come un rinascimento. Eclissa i brutti ricordi associati alla grave crisi dei rifiuti negli anni 2000 e alla violenza mafiosa raccontata in Gomorra». Il tutto mentre un sondaggio del Times che ha interpellato 3.500 britannici in vacanza in Europa, indica Napoli come ultima tra le cinque peggiori città da visitare nel continente, a parimerito con la spagnola Benalmadena.
Il legame tra la Francia e Napoli
Invece sono proprio i francesi ad amare particolarmente Napoli, storicamente legata al loro Paese. A partire dal presidente Emmanuel Macron, che nel 1993 nella città partenopea ha conobbe sua moglie, Brigitte, all’epoca sua insegnante di liceo. «Un’altra Italia», ha definito Napoli Macron, una città che gli «è molto cara». Nel frattempo, il comune cerca di mettere una pezza al sovraffollamento di strade, pizzerie, friggitorie, che spesso mettono i propri tavolini dove non sarebbe consentito. «Stiamo ponendo un vincolo su alcune strade per la destinazione d’uso per le attività commerciali — ha spiegato il sindaco Gaetano Manfredi — . Questo è un percorso molto articolato perché è necessaria una concertazione con Regione e Soprintendenza e poi approveremo anche il piano dei dehors , di concerto con la Soprintendenza, che metterà ordine». Secondo il primo cittadino, questi “attacchi” sono dovuti alla crescita del turismo a Napoli che la pone ora in diretta concorrenza con altre città europee: «Napoli dà fastidio perché è diventata una grande meta turistica internazionale, questi attacchi sono sintomo di un anti napoletanismo che è un po’ sempre esistito e sono anche un po’ motivati dalla concorrenza».
Per l’Europa abituatasi da 17 mesi a tenere lo sguardo fisso sul confine orientale, la novità politica più dirompente del 2023 può arrivare dall’estremo Occidente: del continente stesso, s’intende. L’uomo che domenica 23 luglio può spodestare Pedro Sánchez dalla guida della Spagna, e assumere a seguire – se e quando riuscirà a formare un governo – anche il timone dell’Ue sino alla fine dell’anno, viene infatti da Orense, cittadina del remoto nord-ovest spagnolo, a meno di 100 chilometri dall’Oceano Atlantico. È lì, nel cuore della Galizia rurale, che è iniziata e poi decollata la carriera politica di Alberto Núñez Feijóo, il leader del Partido popular (Pp) favorito secondo tutti i sondaggi nelle elezioni anticipate indette due mesi fa dallo stesso premier spagnolo. Le ultime rilevazioni pubblicate a una settimana dal voto accreditano il partito conservatore di una preferenza su tre nelle urne: abbastanza per entrare nel prossimo Parlamento con la pattuglia di parlamentari di gran lunga più nutrita (135, contro i 110 attribuiti ai socialisti), ma non abbastanza per pensare di poter governare in solitudine, considerato che la soglia della maggioranza assoluta al Congresso di Madrid è fissata a quota 176 deputati. Che farà in quel caso Feijóo? Aprirà a destra, sdoganando al governo i nazionalisti di Vox, in un’alleanza già sperimentata in alcune amministrazioni locali O spariglierà, anche per avere numeri più solidi (Vox potrebbe non andare oltre i 38 seggi), stringendo un patto con i socialisti del Psoe per formare un governo di coalizione, così da guidare il semestre di presidenza del Consiglio Ue, iniziato per la Spagna il 1° luglio, nel segno dell’unità nazionale? Feijóo ha dribblato accuratamente la questione per tutta la campagna elettorale, insistendo sull’ambizione maggioritaria del Pp, ma una parte della risposta – forse – sta nella sua storia.
L’amministrazione pubblica è il pane quotidiano di Feijóo fin dall’inizio della sua carriera. Prima di diventare un politico a tutto tondo, in effetti, il giovane galiziano (classe 1961) cominciò a farsi largo nei ranghi della sua Regione (Comunità autonoma, nell’ordinamento iberico) come funzionario pubblico. Ma fu presto cooptato dai Popolari, nei cui valori si riconosceva: nel 1996 il primo grande salto a livello nazionale, quando venne portato a Madrid dal suo padrino politico in Galizia, José Manuel Roman Beccarìa, nominato ministro della Salute nel governo-Aznar. Nella capitale Feijóo si conquistò amicizie e consensi, tanto che nel 2000 fu indicato come nuovo presidente di Correos y Telegrafos, le Poste di Spagna. La «vera» sfida con la politica, quella della lotta sul campo per il consenso, sarebbe arrivata dopo i 40 anni. Presa infine formalmente la tessera del Pp, Feijóo tornò nel 2003 nella sua Galizia, chiamato a far parte della nuova giunta regionale come assessore alle opere pubbliche. Da Santiago de Compostela, sede delle istituzioni galiziane, non si sarebbe di fatto più mosso per 20 anni. Eletto leader dei Popolari nella Regione nel 2006, Feijóo si dedicò a preparare il ritorno alla guida della Galizia: questa volta da presidente. Obiettivo centrato nel 2009, quando strappò la Comunità autonoma ai Socialisti con il 46,7% delle preferenze. Apprezzato dai concittadini, ripetè il suo successo altre tre volte, nel 2012, nel 2016 e nel 2020, imponendosi come dominus incontrastato della regione nord-occidentale. Una specie di tradizionale passe-partout in vista della ribalta nazionale per i leader della destra spagnola: dalla Galizia veniva il dittatore Francisco Franco, che governò la Spagna dal 1936 al 1975. Ma anche il traghettatore della destra spagnola nel nuovo quadro democratico dopo la morte del Caudillo, Manuel Manuel Fraga Iribarne, fondatore del Partito Popolare, così come, anni più tardi, l’ultimo premier conservatore del Paese, Mariano Rajoy.
La leadership nazionale e il programma di governo
Già chiacchierato come possibile candidato alla guida nazionale dei Popolari nel 2018, dopo la fine del governo di Rajoy, Feijóo decise allora di restare alla guida della Regione. Ma il momento del suo ritorno, questa volta da protagonista, a Madrid era solo rinviato. Nella primavera dello scorso anno, dopo le dimissioni di Pablo Casado, il leader galiziano si presentò come «salvatore» del Pp e se ne aggiudicò la guida senza rivali, risultando eletto con oltre il 98% dei voti dei delegati. Un anno dopo, alle elezioni amministrative dello scorso maggio, complice la fine della luna di miele tra Sanchez e gli spagnoli, è arrivata la prima affermazione del «nuovo» centrodestra di Feijóo. Che ha spinto il premier socialista a correre ai ripari, tentando la carta delle elezioni anticipate pur di frenare il calo nei consensi e l’avanzata delle destre.
In politica e nella pubblica amministrazione da decenni, dunque, Feijóo è al contempo a digiuno di rilevanti esperienze di governo nazionale, e certamente di livello europeo ed internazionale. Qualcosa su cui i suoi avversari hanno già provato a pizzicarlo, anche per via del fatto che il 62enne galiziano non parla né l’inglese né il francese, a differenza del premier uscente Sanchez. Il suo lungo e «testardo» cursus honorum nelle istituzioni, Feijóo invece lo difende a spada tratta. E proprio sulla sua immagine di rassicurante, persino «prevedibile» amministratore pubblico ha centrato buona parte della sua campagna elettorale. «Ho dedicato tutta la mia vita professionale a servire il mio Paese. Per questo mi ribello con tutte le forze contro la cattiva politica e il discredito generalizzato del servizio pubblico. E anche per questo tenterò di fare in modo che la gestione, l’esperienza e il rispetto della parola data tornino a essere i valori principali e irrinunciabili dell’azione del prossimo governo», scrive Feijóo nel suo «autoritratto» che apre il programma elettorale del Pp. Un programma di centrodestra moderato, in linea col suo profilo, sviluppato attorno a 365 misure divise in 5 capitoli: crescita economica e innovazione, spesa pubblica sotto controllo e accento sulla sicurezza, certo. Ma nessun tono da «duri» su temi identitari come l’immigrazione o il modello di famiglia. Le idee al centro dell’agenda di Vox, insomma, sembrano lontane anni luce. «Siamo noi l’unica garanzia di un cambiamento politico in Spagna», insiste nei suoi comizi Feijóo. Che tiene però a lasciar intendere a chi lo legge e lo ascolta come il cambiamento proposto faccia rima con stabilità e sicurezza. «Il mio grande obiettivo», ha detto al Mundo nell’ultima intervista prima del voto, è quello di «recuperare la concordia tra gli spagnoli».
I rapporti con Meloni e con l’Italia
Che miri a tirare la destra nazionalista verso il centro, piuttosto che il contrario, il candidato premier lo ha chiarito parlando con El Mundo anche del contesto politico italiano. «Sarebbe un bene per l’Unione europea se Giorgia Meloni finisse nel Ppe», ha detto Feijòo. Che alla domanda se lui sostenga personalmente questo scenario ha precisato: «Dipende dall’atteggiamento di Giorgia Meloni, ma credo, da quello che mi dice l’amico Antonio Tajani, che lei stia muovendo dei passi verso una posizione politica che a noi del Ppe preoccupa molto meno di quando si è insediata come Premier». In ogni caso, ha messo in chiaro Feijòo, «il Presidente del Consiglio italiano è uno degli attori più rilevanti in Europa e in caso di vittoria aspiro ad avere con lei un rapporto corretto e fecondo».
Quell’amicizia mai spiegata
Fatte salve le punture di spillo sulla sua scarsa esperienza internazionale, l’unico vero neo nel profilo pubblico costruito da Feijóo nel corso di una lunga carriera riguarda una vicenda lontanissima nel tempo, eppure mai chiarita del tutto. Si tratta della sua frequentazione, tra gli anni ’90 e i primi 2000, di Marcial Dorado, noto personaggio condannato per traffico di droga e riciclaggio di denaro. Feijóo intrattenne con lui rapporti di amicizia, mai chiariti, come nel 2013 provò El Paìs pubblicando una serie di foto che lo ritraevano sorridente sullo yacht di Dorado. Gli scatti risalgono al 1995, quando l’attuale leader del Pp era un dirigente del settore sanitario in Galizia. Ne seguirono altri, catturati in anni successivi, di una serie di altre vacanze in barca insieme. Lo spettro di quella imbarazzante conncection, prima negata da Feijóo e poi minimizzata, ha inseguito il leader galiziano per tutta la sua carriera politica, pur senza mai affondato. Ci hanno provato ancora nell’ultima campagna elettorale i politici delle fazioni avverse, a partire dalla leader della formazione di sinistra Sumar Yolanda Dìaz. Ma il ventre profondo della Spagna sembra già aver scelto a chi dare la maggioranza dei voti. Se basterà per governare, lo si scoprirà domenica 23 luglio.