Appello di Michele Santoro a Mattarella: «Trattati come criminali. Da Fnsi e Odg silenzio assordante»

Il giornalista lancia un appello al Capo dello Stato: «Nel nostro Paese chi si muove al di fuori dei partiti, delle lobby, delle conventicole di vario genere e tipo, di cui anche la cosiddetta “antimafia” è purtroppo divenuta una variante, è sempre un isolato esposto a pericoli»

Dopo aver denunciato di essere stati «spiati e pedinati dai pm di Caltanissetta», arriva l’appello al Capo dello Stato, Sergio Mattarella. In una nota diffusa nei giorni scorsi, i giornalisti Michele Santoro e Guido Ruotolo, hanno scoperto che sui loro cellulari era presente un trojan, lo stesso impiegato per le intercettazioni di «mafiosi e terroristi». E così Santoro ha deciso di inviare una lettera al Capo dello Stato, sottolineando che «è stata messa a repentaglio la nostra incolumità», e «che se dovesse capitare qualcosa a ciascuno di noi, ai nostri familiari e, in particolare, a un collaboratore di giustizia che si è rivelato fondamentale per smantellare la “famiglia” Santapaola-Ercolano, tutti è bene che sappiano a chi se ne devono attribuire le responsabilità, e quali sono le istituzioni che si sono mosse per impedire che ciò accadesse». Nella lettera di Santoro si legge ancora: «Negli atti d’indagine, finalmente a mia disposizione, sono venuto a conoscenza di attività investigative estremamente invasive, quali l’uso del trojan nei miei confronti, di Guido Ruotolo e di Ugo Colonna, ma non c’è traccia alcuna del minimo indizio del reato di depistaggio e non esiste una prova definitiva della mendacità del collaboratore».


«Abbiamo mostrato il nostro spirito totale di collaborazione»

Santoro aveva già puntato il dito contro i pm di Caltanissetta che, secondo la nota diffusa, «hanno ascoltato e identificato le fonti dei due giornalisti, registrato le loro conversazioni, seguito tutti i loro movimenti e infine li hanno sentiti senza la garanzia di un avvocato». E nella lettera indirizzata a Mattarella, Santoro sottolinea che «ero già iscritto da Caltanissetta nel registro degli indagati e Guido Ruotolo era indagabile quando, il 4 febbraio 2022, i magistrati della Procura hanno disposto la nostra audizione in simultanea quali testimoni, con l’obbligo di dire la verità», tuttavia «stante il contenuto dell’atto di querela dovevamo, invece, essere ascoltati quali indagati di reato collegato e con le garanzie proprie a tutela del diritto di difesa, ovvero con gli avvisi di legge e l’assistenza di un difensore». E Santoro prosegue: «Nonostante io avessi il mio ufficio in via Giulia, a pochi passi dalla Direzione Nazionale Antimafia, abitualmente frequentata dagli inquirenti, e soprattutto essendo Guido Ruotolo ammalato di tumore, non ci è stato concesso di deporre a Roma. Non abbiamo tuttavia chiesto rinvii e ci siamo presentati, sottoponendoci a una faticosa trasferta, per mostrare il nostro spirito di totale collaborazione».


«Eravamo in buonafede, e siamo stati intercettati, controllati e pedinati comunque»

E Santoro ritorna sulla questione del trojan istallato sui dispositivi dei giornalisti: «apprendo oggi che, pur avendo noi fornito tutti gli elementi che provavano la nostra assoluta buonafede, sono stati disposti numerosissimi servizi di osservazione, controllo e pedinamento sia a carico di noi giornalisti, sia dell’avv. Colonna, nonché intercettazioni telefoniche ed intercettazioni ambientali con l’utilizzo del noto e famigerato trojan». Come spiegato dal giornalista, «il trattamento da criminali a cui siamo stati sottoposti, la registrazione dei colloqui, gli appostamenti agli incontri, la nostra vita passata a setaccio, non hanno fatto altro che dimostrare positivamente la buona fede di tutti noi, avvocato compreso, nel ritenere affidabili o comunque meritevoli di approfondimento investigativo le parole di Avola».

«Siamo stati spiati non solo sul fronte professionale, ma anche in quello privato. Cosa hanno trovato? Niente»

Dopo aver ripercorso tutti i passi, Santoro sintetizza: «Ricostruendo come reato la pubblicazione di un libro, prendendo spunto dalla querela di un boss della mafia, sono stato spiato nella mia attività professionale, nel rapporto con le mie fonti e nella vita privata, perfino quando ero a colloquio con il mio difensore, l’avvocato Lorenzo Borré. Quanto ai complici con cui avrei agito per architettare le false accuse e il depistaggio non sono stati trovati, semplicemente perché non esistevano. Nessun incontro con elementi estranei è stato annotato e registrato, nessun suggeritore, nessun componente di fantomatiche stazioni di Servizi Segreti, ma solo interlocuzioni con soggetti anche delle istituzioni onde verificare giornalisticamente il racconto di Avola».

«Da Fnsi e Odg silenzio assordante, chi si muove al di fuori dei partiti e lobby è sempre isolato ed esposto a pericoli»

E il giornalista infine lancia un appello al Capo dello Stato, facendo appello alla libertà di informazione: «Ho voluto mettere queste valutazioni per iscritto perché trovo assordante il silenzio della Federazione della Stampa, dell’Ordine dei giornalisti e della stragrande maggioranza di quotidiani e televisioni. Un silenzio che rappresenta un alibi per l’inerzia delle istituzioni di controllo e che con questa lettera ho voluto denunciare». E Santoro conclude: «Nel nostro Paese chi si muove al di fuori dei partiti, delle lobby, delle conventicole di vario genere e tipo, di cui anche la cosiddetta “antimafia” è purtroppo divenuta una variante, è sempre un isolato esposto a pericoli. Ma questa considerazione non mi ha mai impedito di continuare a credere nei principi che sono alla base della nostra Costituzione e a battermi perché vengano attuati. Se poi un giorno dovesse venir fuori una qualche conferma del racconto di Maurizio Avola, c’è chi dovrà provare un senso di vergogna profonda. Questa lettera è un documento che, tramite Lei, consegno al futuro».

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