Libero Mancuso, 82 anni, è un giudice che ha lavorato nel poll napoletano sulle brigate rosse. Poi è arrivato a Bologna nel 1982 per occuparsi di P2 e terrorismo. Ha indagato sulla strage della stazione di Bologna e ha portato a processo Francesca Mambro e Giuseppe Valerio Fioravanti. Sulla ricostruzione dei fatti dell’epoca Mancuso dice che «con l’ultima decisione pronunciata dalla Corte di assise d’appello di Bologna, nel processo su mandanti e finanziatori della strage che ha portato alla condanna in primo grado di Paolo Bellini il percorso travagliato per giungere a un approdo di verità e giustizia sia oramai concluso». Mentre, spiega in un’intervista a La Stampa, la pista palestinese emersa dalla commissione Mithrokin «rispondeva a logiche politiche incompatibili con chi intende raggiungere traguardi di verità e giustizia».
Licio Gelli
Mancuso ricorda Licio Gelli, che ha interrogato all’epoca: «Ho l’immagine di un uomo gelido, espressione di un percorso di vita segnato da vocazioni fasciste e da tradimenti». Mentre sulle tesi di De Angelis «lo scopo è sempre il medesimo: cercare qualche appiglio da usare per ulteriori fughe dalle scomode realtà che i processi di strage nel dopoguerra hanno già acclarato». E questo «perché questi processi hanno attribuito regia ed esecuzioni delle stragi che hanno insanguinato il nostro paese alla destra neofascista, alla P2 e ai nostri servizi segreti che, alimentando la strategia della tensione, coltivavano i loro sconfinati poteri nel tradimento dei delicati compiti ad essi affidati». Invece, spiega il giudice, «la verità completa è alla portata di tutti coloro che la vogliano leggere. La verità condivisa è un’altra cosa: è un traguardo da raggiungere da parte di una società più matura che si riconosca nei valori della nostra Costituzione».
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