Incendi alle Hawaii, la testimonianza di un italiano a Maui. «Non riusciamo a contattare un’altra famiglia di connazionali a Lahaina»

Il racconto di Filippo Lippi, insegnante, a Repubblica

«Noi stiamo bene, ma siamo preoccupati per un’altra famiglia italiana che ha un ristorante a Lahaina. Li ho cercati al telefono più volte ma niente… Non voglio essere allarmista: quell’area è ancora isolata, non c’è campo, non c’è rete, non c’è elettricità, me lo confermano in molti. Però, certo, l’ansia resta. Anche perché girano voci incontrollate. Una persona mi ha detto che i morti sarebbero addirittura più di trecento. Il governatore Josh Green ha parlato di 1.000 dispersi ma anche ripetuto: le comunicazioni sono difficili. Queste persone potrebbero semplicemente avere i cellulari scarichi o essere in aree dove non c’è linea. Sentiamo di nuovi ritrovamenti ogni ora». A parlare a Repubblica è Filippo Lippi, 49 anni, romano. Si è trasferito a Maui nel 2020, poco prima dell’inizio della pandemia con la moglie americana Laura e il figlioletto Leonardo di 5 anni. Entrambi insegnati, spiega le ore concitate dei focolai che stanno devastando Mauile Hawaii. «Martedì ci siamo presi una bella paura. I responsabili della sicurezza ci hanno svegliato alle cinque del mattino dicendo che dovevamo evacuare urgentemente. Un focolaio era proprio nei pressi della scuola e avanzava rapidamente». «Non è stato un bel momento. Eravamo confusi – racconta – convinti che stavamo per perdere tutto. Ho preso con me solo i documenti essenziali: il passaporto, i certificati di nascita. Li tengo sempre pronti perché comunque questa è un’area spazzata dagli uragani. Cercavamo soprattutto di non spaventare il bambino con le nostre angosce e di tenerlo calmo, perché era sovreccitato. Ci hanno fatto andare in un paese vicino, a Pukalani, dove un primo centro raccolta era stato allestito alla buona nei pressi della piscina pubblica. Siamo stati fra i primi ad arrivare perché eravamo i più vicini al fronte: ma per fortuna i vigili del fuoco, che qui stanno facendo un lavoro davvero incredibile, sono riusciti a fermare le fiamme nella nostra area. In realtà non so se il “nostro” focolaio sia già spento, ma ieri sera ci hanno permesso di tornare a casa e dunque presumo di sì, ma dalla finestra vedo ancora moltissimo fumo». Purtroppo, spiega Lippi, non è facile contattare gli altri italiani presenti nell’area. «Non so esattamente quanti siamo io ne conosco una trentina, ma forse siamo 50, 60. Non abbiamo un consolato dedicato sull’arcipelago: prima ce n’era uno a Honolulu, gestito da un avvocato ma dopo la pandemia non ha riaperto. Ora dipendiamo da quello di San Francisco molto, troppo distante. Non ci sono occasioni di incontro e scambio se non casuali», spiega.


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