Famiglia queer, dialogo tra fede e femminismo e personale che diventa politico: qual è «l’eredità simbolica» di Michela Murgia

«Il nostro vissuto personale oggi è più politico che mai. E se potessi lasciare un’eredità simbolica, vorrei fosse questa»

«Il nostro vissuto personale oggi è più politico che mai, e se potessi lasciare un’eredità simbolica, vorrei fosse questa: un altro modello di relazione, uno in più per chi nella vita ha dovuto combattere sentendosi sempre qualcosa in meno». Sono queste le parole che Michela Murgia ha pronunciato «in articulo mortis» il giorno delle sue seconde nozze quando il 15 luglio si è sposata civilmente con l’attore Lorenzo Terenzi. Un matrimonio troppo stretto per la sua idea di amore, ma necessario per vedersi riconoscere i diritti di famiglia in caso di complicazioni del tumore al rene con cui conviveva. La sua vera storia d’amore si è poi realizzata nel concetto di famiglia queer. Dieci persone che amava e con cui ha vissuto legami che andavano oltre la parentela di sangue o i sigilli dello Stato.


La famiglia queer che sfida i ruoli sociali

«Un’esperienza – ha spiegato la scrittrice – dove il numero 2 è il contrario di quello che siamo, […] dove le relazioni contano più dei ruoli, superano la performance dei titoli legali e limitano le dinamiche di possesso». Più volte ha denunciato che l’unico rito che avrebbe desiderato, non esisteva ancora. «Ma esisterà e vogliamo contribuire a farlo nascere», ha detto con certezza il giorno del rito con Terenzi. Così pochi giorni dopo ha dato vita alla sua idea di celebrazione della famiglia queer. Tutte e tutti rigorosamente vestiti di bianco con abiti della stilista di Dior Maria Grazia Chiuri. Non fedi, ma anelli chevalier di resina che imitano la madreperla e riproducono una raganella. Ha scelto la rana perché è un animale transizionale: attraversa diverse fasi di sviluppo durante il suo ciclo di vita, passando da un ambiente acquatico a uno terrestre ed esiste dentro a un mutamento continuo.


La libertà di cambiare, insieme

«La rana è anfibia, ama habitat differenti e li frequenta senza appartenere necessariamente solo a uno. Salta volentieri. Nuota. Cammina. Canta. In certe varianti può cambiare colore per mimetizzarsi, perché ci sono circostanze in cui non essere visti può essere l’unica cosa che ti salva la vita», ha raccontato Murgia. «L’anello con la rana incarna una sola promessa: cambieremo insieme, liberi». Un modello di relazione senza vincoli da cui può nascere una struttura familiare che si discosta dai tradizionali modelli eteronormativi di famiglia, che sfida le norme sociali che riguardano il genere, l’orientamento sessuale, e i ruoli familiari e sociali. È questa «l’eredità simbolica» che ha voluto lasciare prima nei suoi libri e di cui ha poi scelto in questi mesi di raccontarne la quotidianità sui social. Un’idea di amore e un nuovo lessico famigliare che facesse da squarcio in un mondo di rappresentazioni che lasciano ancora troppo indietro tutto ciò che mette in discussione determinate norme culturali.

Fede e femminismo: «God save the queer»

Un’idea di amore che ha sempre riconosciuto essere figlia di istanze femministe e che – a suo avviso – era anche perfettamente compatibile con la sua visione della fede. God save the queer, si intitola uno dei suoi ultimi libri che porta il sottotitolo «Catechismo femminista». Due parole che per la scrittrice potevano essere un ossimoro solo all’apparenza. «Per me le due cose vanno assieme. Io sono femminista perché sono credente, e il reciproco. Nonostante alcuni usino la croce come corpo contundente da dare addosso ai nemici», ha detto in un’intervista. Per questo, la sua penna si è poi fatta portavoce di strumenti che potessero aiutare a risolvere l’apparente contraddizione tra l’essere cattolici e l’essere femministi. Anche in virtù – come d’altronde ha scritto Murgia – del fatto «che lo stesso Dio dei cristiani è contraddittorio. È divino ma anche umano, è uno ma anche trino, è onnipotente ma è morto in croce».

«Niente di umano le è stato alieno»

Nulla di alieno, ma solo umano. Come ha evidenziato Chiara Valerio, sua compagna di vita, in un post che la ricorda all’indomani della morte. «Michela Murgia ha scritto romanzi, ha scritto saggi, ha scritto post, ha scattato foto, e ha scritto liste della spesa. Non scriveva diari, ma agende. Ha fatto video, ha fatto meme, ha inventato modi di dire. Ha amato ridere, e ha amato piangere. Così come cucinare e mangiare. Amava fare scherzi agli amici e soprattutto amava stare raccolta nelle sedie, nei divani, nei dondoli e sulle amache», scrive. «Niente di umano le è stato alieno, e in questo non esserle alieno niente, in questo suo essere vicina a tutto ciò che amava, Michela ha ribadito, con ogni parola – frasi senza vezzeggiativi, senza troppi aggettivi – che la vita è in sé politica. Ha a che fare cioè con la relazione».

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