La strage di Brandizzo è stata provocata da una prassi: «Fanno tutti così»

La testimonianza dell’ex operaio. Gli operai al lavoro sei giorni su sette e le deroghe alle leggi

La strage di Brandizzo è stata provocata da una “prassi”. Quella di iniziare i lavori prima. Perché «fanno tutti così». E perché le manutenzioni si possono effettuare soltanto quando non si creano disagi ai passeggeri. Quindi dopo le 22 e nei fine settimana. Mentre il contratto degli operai prevede soltanto due notturni a settimana. Ma la norma viene aggirata sistematicamente con la formula della chiamata volontaria. Intanto Antonio Massa, addetto Rfi alla scorta del cantiere, è indagato per disastro ferroviario e omicidio plurimo con dolo eventuale. L’uomo nei giorni scorsi ha ricevuto minacce e ha chiuso i profili social. Non ha ancora nominato un avvocato difensore. Per lui c’è il legale d’ufficio.


La testimonianza dell’ex operaio

Le pubbliche ministere Valentina Bossi e Giulia Nicodemo hanno convocato per testimoniare l’ex operaio della Si.gi.fer. di Borgo Vercelli Antonio Veneziano. Il quale ha già raccontato ai media quello che accadeva nell’azienda: «È già capitato molte volte di iniziare i lavori in anticipo. In molte occasioni in cui ho lavorato lì (alla Si.gi.fer), quando sapevamo che un treno era in ritardo ci portavamo avanti con il lavoro». Ovvero: «C’era una regolazione, cioè il restringimento del binario, da fare con un convoglio atteso fuori dall’orario corretto di passaggio? Iniziavamo a lavorare, svitavamo i chiavardini (sistemi di fissaggio delle rotaie alle traversine in legno, ndr). Dopodiché, prima del passaggio dei convogli ci buttavano fuori dai binari. Eravamo in sei-sette per ogni gruppo ma in quei casi c’era chi guardava le spalle. L’altra notte non è andata così, erano tutti sulla massicciata».


L’inchiesta

Anche altri colleghi hanno confermato la prassi a La Stampa: «Sappiamo che si inizia a lavorare quando il capo ci dice a voce che possiamo farlo e ce lo dice non quando arriva un pezzo di carta ma quando i treni hanno smesso di passare. Fanno tutti così». Ora l’inchiesta dovrà accertare se della prassi erano al corrente anche i vertici di Rete Ferroviaria Italiana. Il legale d’ufficio per assistere Massa si chiama Antonio Raucci. Che però non è ancora riuscito a parlare con il suo assistito: «Non ha risposto alle mie telefonate». Anche il capocantiere, Andrea Girardin Gibin, 52 anni, è indagato per gli stessi reati. Michael Zanera, 34 anni, Giuseppe Sorvillo, 43 anni, Saverio Giuseppe Lombardo, 52 anni, Giuseppe Aversa, 49 anni, Kevin Laganà, 22 anni verranno ricordati oggi con una manifestazione a Vercelli.

Al lavoro sei giorni su sette

La Stampa raccoglie oggi anche i racconti degli operai delle ditte di manutenzione di Rfi. Il contratto dice: «Il lavoratore è tenuto a garantire all’azienda un massimo di due notti settimanali. Eventuali terze notti per motivi organizzativi e produttivi dovranno essere concordati tra le parti (rsu e azienda).E comunque non possono essere più di dieci al mese». Ma la Filt Cgil dice che con la formula della chiamata volontaria questa norma viene sempre aggirata. Quando si lavora per la notte si comincia dalle 8 alle 13 e poi si riprende alle 22. In deroga a una legge che prevede 11 ore di riposo tra un turno e l’altro. I lavori in subappalto, poi, sono «una giungla». E gli errori frequenti. «Venti giorni fa – racconta un manutentore piemontese di Rfi che vuole rimanere anonimo – una capostazione che lavora da poco tempo, finito l’orario dell’interruzione, ha dato il via libera alla circolazione dei treni senza accertarsi che la ditta avesse davvero terminato e non ci fosse più nessuno sui binari».

La telefonata

Secondo l’accusa la colpa di Girardin Gibin sarebbe di avere fatto scendere sui binari i suoi operai senza prima avere il foglio col nulla osta. Per Massa invece ci sono le telefonate. Iniziano intorno alle 23.30 quelle in cui chiede alla centrale del movimento di Chivasso l’autorizzazione: una prima, poi una seconda. Ha in mano solo le ipotesi di finestre di lavoro, basate sugli orari previsti dei treni. Da Chivasso gli dicono «no», rinviano, «deve ancora passare un treno». Il punto potrebbe essere quale treno. In programma erano tre: l’ultimo di linea, uno che doveva trasportare vagoni da Alessandria a Torino e un terzo, previsto verso l’1.30. Alle 23.30 il primo ha già fatto il suo percorso. Il secondo no, è in ritardo, ma non è chiaro se il tecnico Rfi l’abbia confuso col precedente. Perché scende sui binari col capocantiere e i cinque.

L’errore

Dalla centrale gli ripetono che avrà due finestre per lavorare: tra il secondo e il terzo treno, oppure dopo il terzo e ribadiscono: «State fermi». Una terza telefonata registra il boato, la frenata, la strage è fatta. Ci sono altre due chiamate successive, ma sono solo le urla di Massa che la descrivono. La ricostruzione è nella registrazione delle telefonate, confrontate con gli orari in cui dalle telecamere della stazione si vedono gli operai sui binari. Senza che un semaforo rosso fermasse i treni, perché non era previsto si fermassero. Senza i dispositivi che si mettono sulle rotaie per segnalare quando si lavora, ma non è chiaro quando sia obbligatorio farlo. Eppure i dispositivi di sicurezza sulla linea c’erano, sarebbero dovuti scattare dei segnali luminosi, ma non è accaduto.

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