Migranti, la versione di Zaia: «Europa insignificante nella sua azione politica, ma con le espulsioni l’Italia non risolve il problema» – L’intervista

Autonomia regionale, elezioni europee e superamento del blocco al doppio mandato per governatori e sindaci: parla il presidente del Veneto

È ora di pranzo anche per il presidente. Si sentono rumori di posate e piatti. Tra un boccone e l’altro, Luca Zaia si scusa: «Ho poco tempo, devo tornare al lavoro». Meglio così: mentre mastica, si ha il tempo per recuperare con la scrittura ciò che dice con la velocità tipica della cadenza veneta. Evidentemente, il governatore leghista non ha da pesare le parole. L’Europa sulla questione migranti? «Latitante, la sua azione politica è insignificante». Autonomia regionale? «Lo diceva anche il presidente Napolitano: è una vera assunzione di responsabilità». Via il vincolo del doppio mandato per sindaci e governatori, nella Lega non c’è una questione fuoriuscite, «con il massimo rispetto per Castelli», e l’alleanza con Marine Le Pen e l’ultradestra tedesca «non è un problema». Dopo una trentina di minuti, Zaia finisce di pranzare e anche l’intervista si conclude. Soddisfatto del pasto, presidente? «Riso lesso e una scatoletta di sgombro: tocca fare la dieta».


Iniziamo dalla questione migranti. Numeri alla mano, perché i Cpr non sono la soluzione per l’emergenza flussi che sta coinvolgendo il Paese?


«È in corso un esodo biblico, che non dipende dal governo. L’Italia ha due problemi con questi numeri insostenibili. Il primo: la qualità dell’accoglienza, che scade mentre ci troviamo a dover garantire ospitalità a persone che non hanno alcun titolo per restare qui e se ne dovrebbero tornare a casa. I rifugiati veri, che scappano realmente dalla morte e dalla fame, rappresentano l’8% degli arrivi, secondo dati ministeriali. Gli altri migranti irregolari tolgono i letti ai profughi veri. Il secondo aspetto riguarda il cambiamento repentino a cui è sottoposta la fisionomia della società. La nostra sta diventando una società multietnica e, purtroppo, anziché essere un processo naturale, sta avvenendo a una velocità inaudita. Ciò, impone di cambiare radicalmente modelli educativi, sanitari, sociali. E non solo. Quando si deciderà l’Europa a occuparsi davvero di immigrazione e degli sbarchi? In Veneto abbiamo un modello di integrazione tra i più efficienti al mondo. Negli anni, abbiamo garantito a 550 mila immigrati, su 5 milioni di veneti, di diventare a loro volta dei nuovi veneti, permettendo loro di realizzare un progetto di vita e integrazione. Quindi, per usare un termine che va di moda, nessuno si oppone a un’immigrazione sostenibile, anzi. Ma con i numeri di sbarchi che stiamo subendo non si può parlare di immigrazione, piuttosto di esodo biblico».

Tra poco arriviamo all’Europa. Però prima le chiedo se sarà costruito o meno un nuovo Cpr nel suo Veneto.

«I Cpr non dipendono dalle Regioni. L’insediamento lo decide il governo, tramite i ministeri competenti. Il progetto, da come è stato divulgato, è di avere uno per ogni regione. Precisiamo innanzitutto che i Cpr non c’entrano nulla con l’arrivo dei migranti sulle coste di Lampedusa. Il Cpr è un anello della catena della filiera dell’immigrazione: è il centro di detenzione amministrativa per un massimo di 18 mesi per coloro che dovranno essere espatriati e tornare a casa loro».

Ansa | Il governatore del Veneto, Luca Zaia, durante il raduno di Pontida della Lega, 17 settembre 2023

Qual è il contributo dei Cpr, vista la prospettiva di raggiungere quota 200 mila migranti entro la fine dell’anno?

«Il livello di espatri che l’Italia è riuscita a gestire è inferiore a 4 mila unità all’anno. Pensiamo che nel 2023, in virtù di questa tempesta perfetta a livello internazionale, arriveranno 200 mila migranti sulle coste italiane. Se partiamo dal presupposto che in media solo l’8% riceve il livello di protezione massima di rifugiato. Anzi volendo abbondare, ipotizziamo che a ottenere altri tipi di protezione saranno altri migranti per una quota massima del 30%, secondo i dati storici. Ecco vuol dire che su 200 mila migranti almeno 140 mila se ne dovranno tornare a casa, non avendo titolo per restare in Italia. Da un lato siamo preoccupati perché questi 140 mila occupano inevitabilmente posti che spetterebbero ai profughi veri, ai rifugiati veri che scappano dalla morte e dalla fame. Dall’altro, però, se riusciamo a rimpatriare solo 4 mila persone all’anno o giù di lì, capisce che immaginare di rimpatriarne 140 mila all’anno sarebbe come cercare di svuotare il mare con un secchio. Quindi il vero tema è quello dei numeri, della condizione che ormai è diventata insostenibile e del fatto che l’Europa è totalmente assente. L’Europa non si sta occupando di questo problema. Di più, l’Europa sta facendo diventare l’Italia un grande campo profughi».

Ne fa anche una questione di sicurezza per i cittadini?

«Voglio essere chiaro. C’è sicuramente una marea di brave persone tra le decine di migliaia che sbarca, ma è innegabile che con i flussi arrivino anche molti delinquenti, dei quali vorremmo, se permette, farne a meno. I segnali sono evidenti, basta guardare cosa succede nelle stazioni dei treni, nelle piazze di spaccio, e il racket della prostituzione, o ancora, la condizione di alcuni quartieri periferici. Anche nella popolazione carceraria, ad esempio, la quota di immigrati è sovrarappresentata rispetto alla percentuale di stranieri nella popolazione generale. Avremmo voluto farne a meno. Diciamocelo, l’Italia è l’El Dorado dei delinquenti: fino a 4 anni di condanna non si va in galera. Cioè, per essere recluso vuol dire che ne ha combinate tante, visto che per la microcriminalità non si finisce certo in cella».

Ansa | Il presidente del Veneto Luca Zaia all’uscita dell’incontro avuto a Roma con il ministro Roberto Calderoli insieme al governatore della Lombardia Attilio Fontana, 2 Novembre 2022

La chiamava in causa lei, l’Unione: non saremmo mica tornati alla Lega che gridava “fuori dall’Europa”?

«Io le parlo da europeista convinto. Anche durante quella fase lì della Lega, io ho avuto sempre una posizione netta sulla necessità di costituire gli Stati Uniti d’Europa. Però, sulla questione migranti, l’Europa sta avendo una posizione inconciliabile con lo stesso dettato europeo. Se guardiamo alle prove muscolari della Germania che finanzia le Ong, all’Austria che sospende Schengen e alla Francia che le va dietro, ecco sono questi i segnali di un’Europa assente, latitante, insignificante nella sua azione politica. L’Italia è abbandonata, ripeto, a un esodo biblico, non a un normale e giusto fenomeno migratorio. Mi viene da pensare che a Bruxelles l’unica cosa che facciano è quella di guardare il meteo, sperando che arrivi brutto tempo e non ci siano più attraversamenti. Gli Stati Uniti d’Europa sono un’altra cosa rispetto a questa, rispetto a delle istituzioni che stanno facendo in modo che l’Italia diventi il ventre molle dell’Europa.

I ricollocamenti?

«Non funzionano, ogni Paese si fa abbondantemente i fatti propri. Ma noi, come si dice dalle mie parti, dei sorrisi, dei pasticcini e dei buffet non ce ne facciamo niente. Eppure l’Italia potrebbe fare la voce grossa perché è uno Stato fondatore, ma soprattutto perché le risorse che l’Europa spende e spande sono risorse che i Paesi membri erogano attingendole dai propri bilanci. Noi siamo contribuenti attivi, cioè l’Europa ci dà meno dei soldi di quelli che noi diamo a lei. Fare questo discorso non è da anti-europeisti, ma significa – altro detto Veneto – non essere considerati “coloro che sono venuti giù con la piena del Piave”. Mi sono fatto l’idea che a Bruxelles pensano che siamo degli scappati di casa, mentre siamo soltanto consapevoli che questa congiuntura di sbarchi è dettata da tanti fattori, non ultimo quello della guerra. Ci lamentiamo della bolletta, ma mettiamoci nei panni di un africano che, dato l’aumento del costo del frumento, non trova più cibo per mangiare. Non è buttare la palla in tribuna. Tuttavia, sostengo che non solo l’Unione europea, ma anche le Nazioni unite dovrebbero essere più coinvolte negli effetti di questi problemi epocali che si manifestano anche con dei flussi migratori abnormi».

Si avvicinano le elezioni europee, anzi siamo già in campagna elettorale. Ed è innegabile che la compilazione delle liste si aggroviglia a un discorso di rinnovo dei Consigli regionali. In Puglia e in Campania il tema è particolarmente sentito, ma la segretaria del Partito democratico ha espresso una forte contrarietà a rimuovere il vincolo dei due mandati per i presidenti di Regione. Anche in Veneto si potrebbe sollevare una querelle, se lei puntasse a candidarsi nel 2025.

«Ho sempre avuto la stessa posizione e la esprimo senza remore, lo dicevo anche anni fa, quando non ero parte in causa. Ci sono solo due cariche elettive in Italia scelte direttamente dal popolo, e sono il sindaco e il presidente di Regione. Allora, se decidiamo che il cittadino deve essere attore protagonista nella scelta dei propri rappresentanti, figuriamoci se dovremmo porre dei limiti su chi deve governare i propri territori. Non possiamo giustificare il blocco dei mandati dicendo che si creano centri di potere, perché potremmo stare qui a elencare quanti Comuni e quante Regioni hanno visto il loro sindaci e governatori uscenti non essere rieletti dopo il primo mandato. I cittadini sanno scegliere, punto. Tant’è che gli elettori che vanno alle urne, nello stesso giorno, votano magari a destra a livello nazionale e a sinistra a livello locale. I cittadini scelgono i propri rappresentanti, bisogna avere massimo rispetto dei cittadini. Detto ciò, vedremo quali saranno le decisioni che prenderanno a livello nazionale. Chiudo e ripeto: trovo strano che un sindaco non possa ricandidarsi dopo due mandati, ma lo stesso sindaco possa stare una vita in Parlamento».

Crede che l’autonomia differenziata, alla fine, vedrà la luce con questo governo o il testo di Calderoli si impantanerà nella partita generale che comprende anche il premierato?

«Sono fiducioso perché questo è l’unico governo che ci mette nelle condizioni di discutere di questi temi. C’è un disegno di legge in Parlamento e l’autonomia non la si fa se non abbiamo la legge. Ogni legge, è normale, innesca una discussione. C’è tutto il tempo per trattare l’autonomia e non penso che il governo abbandoni il progetto autonomista. Voglio sottolineare che non stiamo parlando di una battaglia politica di un partito, l’autonomia è prevista dalla Costituzione, tant’è che il presidente Sergio Mattarella ha firmato il disegno di legge Calderoli. Lo dico perché siamo in un Paese dove per ogni cosa si fa sempre richiamo alla Costituzione. Spiace che ci sia in giro qualcuno che ancora ripete lo slogan della presunta secessione dei ricchi. Quanto al minare l’unità nazionale, è un’altra fandonia: ad esempio, modelli federalisti più avanzati del nostro, come quello tedesco, fanno percepire la Germania come un grande Paese. L’autonomia è una vera assunzione di responsabilità e se, oggi, ci sono sacche di disservizi in Italia, non è perché qualche amministratore ha avuto più risorse di qualcun altro, ma per la mala gestio che si è accumulata nei decenni passati. Non è normale che un cittadino faccia le valigie per andarsi a curare fuori regione, ma la giustificazione non può essere che un territorio ha avuto meno risorse di un altro. L’autonomia o la facciamo per scelta, o la dovremmo fare per necessità. È un po’ come la Troika: per non ritrovarti con la Troika nel Paese, fai di tutto affinché i conti siano a posto. Lo diceva persino il presidente Napolitano, che non ha nulla a che fare con la mia ideologia, ma gli riconosco l’onestà intellettuale: “l’autonomia è una vera assunzione di responsabilità”».

C’è qualche esponente, anche della maggioranza, che associa il successo della riforma costituzionale per l’elezione del premier a quello della legge sull’autonomia. Ripeto la domanda: vanno di pari passo?

«Mi sembra un accoppiamento inutile. Il tema del presidenzialismo o del premierato che dir si voglia è nel contratto di governo. Ci colleghiamo al discorso del blocco dopo il secondo mandato: se diamo al cittadino il diritto di eleggere il proprio premier, dovremmo rispettare sempre la centralità dell’elettore come attore protagonista nella scelta della classe dirigente. È il cuore del Contratto sociale di Rousseau: il popolo ti delega a rappresentarlo, quando non si sente più rappresentato ti leva la delega. Tornando alla domanda, non metterei insieme le partite delle due riforme, non c’è alcuna merce di scambio, ma un contratto di governo e la Costituzione da attuare».

Esprime fiducia nella stabilità della maggioranza. Per quanto riguarda la stabilità della Lega, le chiedo se c’è del rammarico per l’uscita dell’ex ministro Castelli. Da storico dirigente del Carroccio, in concomitanza con la festa di Pontida, ha dichiarato: «Non sarò complice del tradimento del Nord». In generale, esiste una vecchia Lega padana refrattaria al respiro più nazionale impresso da Salvini?

«Ricordo, ero ancora un ragazzetto, che ci furono tragedie simili quando uscì un dirigente lombardo dalla Lega, Franco Castellazzi. Il tema delle porte girevoli esiste in tutti i partiti, nella Lega comunque il bilancio è in positivo grazie ai nuovi arrivi. Ho il massimo rispetto per Castelli, ma fa più rumore una pianta che cade di una foresta che cresce. Lo dice un venetista convinto, sia chiaro. Porto una metafora che aiuterà a capire la mia visione su questo aspetto. Io ho un appartamento e quando c’è un’assembla di condominio, con i miei millesimi, non sono in grado di far approvare ciò che voglio. Se la Lega avesse i millesimi per decidere le sorti del Paese, porteremmo in dote tutto ciò che potremmo portare dalla Lega delle origini. Ma a Roma, per prendere delle decisioni, dobbiamo comportarci come se ci trovassimo in un’assemblea di condominio».

Meloni con Macron e von der Leyen, Salvini prepara una grande raduno di Identità e democrazia, con Marine Le Pen, già ospite d’onore a Pontida, e l’ultradestra tedesca di Alternative für Deutschland. Una strategia che in termini di sondaggi sembra pagare, con la Lega in rialzo nei consensi. Per lei questi alleati, invisi ai popolari, sono irrinunciabili?

«Ciascuno ha la sua linea politica. Torniamo alla metafora dell’assemblea di condominio con i millesimi da far valere? Io, sinceramente, eviterei di riempire di ulteriori contenuti delle dinamiche che sono molto più semplici di quello che si possa pensare. Quando Carducci era a scuola, gli chiesero di scrivere un tema sulla madre. Lui si limitò ad argomentare: «Mia madre è mia madre, punto e basta». La Lega è la Lega, punto e basta».

Presidente, sento che ha terminato con il pasto. Per curiosità, cosa ha mangiato?

«Riso lesso e una scatoletta di sgombro: tocca fare la dieta».

Ansa | La visita del presidente del Veneto, Luca Zaia, che ha incontrato gli operatori del settore sul tema del granchio blua a Porto Viro (Rovigo), 23 agosto 2023

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