Milano, il ragazzo hikikomori e il mondo fuori dalla sua stanza: «Io sono uscito, ma il problema si affronta solo chiedendo aiuto»

Sette mesi in fuga da tutti: «Dormivo dalle 8 alle 18, poi stavo sul letto con il pc, tra tv e video, fino al mattino»

Ritirarsi dalla vita sociale, isolarsi volontariamente. Chiudersi in casa, lontano da panico, ansia e senso di inadeguatezza. Sono dinamiche che ricorrono spesso negli hikikomori, i cosiddetti «ritirati sociali» – questa la traduzione dal termine giapponese. A inizio aprile, il primo studio italiano sul fenomeno – redatto dal Cnr (Consiglio Nazionale delle Ricerche, ndr) – parlava di circa 44mila ragazzi (1,7% degli studenti totali) che si definivano tali. Mentre 67mila (2,6%) adolescenti erano a rischio di diventarlo. Alessandro, nome di fantasia, è uno di questi. O meglio, lo era. Ha vissuto – racconta al Corriere della Sera sette mesi in fuga da tutti: «Dormivo dalle 8 alle 18: la cena era il mio pranzo». Poi stava sul letto con il pc, tra serie tv e video, fino al mattino. «Nessuno mi stressava», ricorda. 


Le difficoltà nei rapporti coi coetanei 

Le cause di questo «ritiro sociale» sono tante e diverse. Assume un peso determinante il senso di inadeguatezza anche rispetto ai compagni di scuola. Una sorta di fatica nei rapporti coi coetanei, molto spesso caratterizzati da frustrazione e auto-svalutazione. «A scuola mi ignoravano tutti», racconta ancora Alessandro. «Ricordo che un giorno un mio compagno ha fatto il nome dei componenti del gruppo. Tranne il mio. Ero un fantasma». Gli unici amici erano quelli conosciuti online: «Ci giocavo il pomeriggio e la sera – continua -. Mi piace stare in compagnia, contrariamente a quanto possa sembrare: ma quella era la mia comunità. Non mi ritrovavo nel divertimento dei miei compagni». I maschi, infatti, – secondo lo studio del Cnr di fine aprile – sono più propensi al gaming online, mentre le femmine si attribuiscono più facilmente la definizione di Hikikomori.


I numeri in Lombardia

Seppur c’è molto sommerso nei dati, sono 250 le famiglie con figli in ritiro volontario che partecipano alle attività di auto-mutuo aiuto dell’associazione “Hikikomori Italia genitori”. Sei gruppi – scrive il quotidiano di Milano – coordinati da uno psicologo. Si tratta di ragazzi che hanno subito episodi di bullismo e in fuga da una scuola sempre più competitiva. Alessandro, infatti, cambia spesso istituto: prova a seguire le lezioni fino a quando un compagno non gli tira un pugno e decide, così, di rifugiarsi di nuovo a casa. Questa volta fino alla fine dell’anno. Grazie all’educazione domiciliare, finisce le medie e si iscrive all’Itis informativo. In mezzo: incontri con educatori, psicologi e infine la neuropsichiatra.

«Chiedete aiuto»

La svolta coinciderà con il recupero anni, dalla prima alla quarta superiore in un altro isituto di Milano. Qui conosce la sua attuale fidanzata. Si diploma e lascia la psicologa. «Non siamo malati. E anche se il mio cervello si rifiuta di ricordare, sono uscito vittorioso». E ora vuole parlare a chi si trova nella stessa situazione: «Chiedete aiuto, andate dallo psicologo. E se i genitori non vogliono, parlate con qualcuno a scuola. Non vi chiudete. Qualcuno c’è sempre. Ma alle volte basterebbe dire ai professori che siamo esseri umani, non macchine. Non serve urlare», conclude.

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