Bruna, sono 7 i vigili indagati per l’aggressione alla donna transgender: le accuse agli agenti e alla 42enne

La donna è indagata per le accuse di resistenza, lesioni ai danni di un agente, rifiuto d’indicazioni sulla propria identità personale e ricettazione

Oltre ai tre vigili accusati in concorso di lesioni personali aggravate dall’abuso della funzione pubblica, nella chiusura delle indagini del caso di Bruna, altri quattro agenti sono accusati di falso in atto pubblico e abuso di autorità contro arrestati o detenuti. Gli indagati per l’aggressione alla 42enne brasiliana, colpita con calci e manganellate da un gruppo di agenti della polizia locale di Milano lo scorso 24 maggio, sono quindi in tutto sette. Tra questi spicca che il nome di Sergio Melone. Ovvero il responsabile dell’Ufficio centrale fermi e arrestati di via Pietro Custodi. Dove era stata portata la donna quel giorno.


Le accuse

La procura contesta a tre degli indagati di aver lasciato Bruna «ammanettata con le braccia dietro la schiena per circa un’ora». Nonostante all’arrivo in sede – a seguito del pestaggio – «fosse collaborativa e versasse palesemente in condizioni fisiche critiche». E «impedendole di stendersi sul letto della cella, di pulirsi il volto dal sangue e alleviare il proprio malessere agli occhi». Da qui si profila l’ipotesi di reato di abuso di autorità contro arrestati. Anche alla 42enne è stato notificato un avviso di conclusione delle indagini. Le accuse sono resistenza, lesioni ai danni di un agente, rifiuto d’indicazioni sulla propria identità personale e ricettazione.


Le ricostruzioni della vicenda

Inoltre, se i tre agenti intervenuti in via Giacosa quel 24 maggio avevano fornito una loro ricostruzione affidata alle note di servizio, la procura ha delineato un’altra versione che smentisce quella dei poliziotti, accusati, infatti, di falso in atto pubblico. Non è vero, scrivono i pm, che Bruna sia stata portata negli uffici della polizia locale «in attesa di espletare le formalità di rito» perché è stata in realtà «condotta dalla vettura alla camera di sicurezza, chiusa con le misure di contenimento ai polsi».

L’ipotesi di falso in atto pubblico

Così come è falso – stando sempre alle accuse della procura – che la 42enne al comando fosse «in evidente stato di agitazione e rifiutava ogni tipo di dialogo». Sono molteplici gli aspetti che sono stati smentiti, tra cui la ricostruzione degli agenti sui motivi per cui intervennero. Sarebbe falso, infatti, che la donna «mostrava nudità in presenza di donne e bambini e urinava davanti a tutti». E che – dopo essere stata accompagnata in macchina per essere portata in caserma – avrebbe dato pesanti testate contro i finestrini dell’auto «lesionandosi il capo che sanguinava».

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