Cosa succede dopo la difesa di Hamas da parte del presidente turco Erdogan

Spezzare il rapporto tra Hamas e l’Iran e rafforzare il ruolo di Ankara negli accordi di Abramo: gli obiettivi del presidente turco, che vuole essere l’unico mediatore del conflitto

Nelle ultime ore il presidente turco Recep Erdoğan si è platealmente schierato con Hamas, definendo i miliziani «liberatori», e bollando la reazione di Israele come «un’atrocità pensata per uccidere i bambini».  La posizione della Turchia non deve sorprendere ed è pensata per perseguire due obiettivi tattici, contro l’Iran e contro gli accordi di Abramo. Nei limiti del possibile, Ankara e Gerusalemme intrattengono ottimi rapporti. Le intelligence collaborano e prima del 7 ottobre migliaia di turisti israeliani soggiornavano in Turchia. Soprattutto, i due Paesi sono nemici dell’Iran e sostengono apertamente l’Azerbaijan contro Teheran, vicinanza militare che ha determinato l’avanzata di Baku nel Nagorno Karabakh. Ed è qui che si inserisce il primo obiettivo della Turchia nella crisi in corso, ragione della retorica attuale, favorevole alla milizia che ha colpito lo Stato ebraico. Nel difendere le istanze di Hamas, Erdogan vorrebbe anzitutto spezzare il legame esistente tra l’organizzazione palestinese e la Repubblica Islamica.


I legami tra Ankara e Hamas

Da tempo Hamas è legata ad Ankara – il capo politico, Ismāʿīl Haniyeh, si muove con passaporto turco – anche per l’afferenza della Fratellanza Musulmana alla Turchia. Ma negli ultimi anni l’Iran è riuscito a proporsi, tramite il Qatar, come principale referente della milizia palestinese. Il presidente turco intende rompere tale sodalizio. Va ricordato che Ankara considera Gerusalemme come propria, «l’abbiamo costruita noi», ha più volte sostenuto Erdogan, ponendo la città sullo stesso piano (o quasi) di Mecca e Medina. Proprio l’afflato panislamico è sostanza del secondo obiettivo tattico. Gli accordi di Abramo siglati tra Israele, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Marocco, Sudan, con l’Arabia Saudita prossima firmataria (almeno prima del 7 ottobre), descrivono un fronte arabo-israeliano costituito contro l’Iran. Uno sviluppo che non entusiasma la Turchia che vorrebbe porsi al centro di tale schieramento, al posto di Israele. Di qui il tentativo di rilanciare il panislamismo, utilizzando al solito la questione palestinese in forma strumentale, per segnalare ai regimi arabi che conviene affidarsi ad Ankara, anziché allo Stato ebraico. Possibilmente sfruttando l’attuale vulnerabilità del governo israeliano, stretto già su troppi fronti.


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