Saman Abbas, il fratello: «Mio papà si ubriacava, ci picchiava e la notte ci cacciava di casa». La telefonata tra il padre e lo zio dopo la scomparsa

Le risposte del giovane alle domande dello zio Danish Hasnain, uno dei cinque imputati per il femminicidio della giovane di Novellara

Un padre violento, una madre succube, e i figli vittime in preda alla paura. Così appare la famiglia di Saman Abbas, la 18enne sparita da Novellara a maggio 2021 e trovata senza vita a novembre 2022, dal racconto del fratello, in audizione presso la Corte d’assise a Reggio Emilia. Oggi 3 novembre risponde alle domande dell’avvocato difensore dello zio Danish Hasnain, uno dei cinque imputati per la morte della ragazza. Sollecitato sul rapporto con la famiglia, il fratello di Saman rivela di aver vissuto con grande paura i mesi successivi all’omicidio della sorella. Temeva che lo zio, nonostante fosse in carcere, potesse fargli del male. Timore che ancora oggi dice di avere, anche e soprattutto nei confronti di suo padre.


Le violenze del padre contro la moglie e i figli

«Da piccolo mi picchiava, tante volte», racconta il giovane riferendosi a suo padre. Alla domanda se picchiasse anche la sorella, ricorda la scena – già rivelata negli interrogatori precedenti – in cui si sarebbe ferito con un coltello dopo essersi mezzo in mezzo tra il padre e Saman. «C’è stato un periodo in cui mio padre si ubriacava e picchiava, ci cacciava fuori casa. Passavamo le notti al freddo. Una sera, ricordo benissimo, siamo stati in una serra, faceva davvero freddo. Poi siamo andati in un capannone, io mia mamma e mia sorella, siamo stati chiusi dentro una macchina, mia madre usò il velo per coprire me e mio fratello. Successe un po’ di notti». Quella volta, ricorda il ragazzo, intervenne Ivan Bartoli – il proprietario del terreno dove viveva la famiglia – invitandoli a chiamare i carabinieri, ma la madre si oppose per timore (anche) di «finire sui giornali». Un racconto difficile, che a più riprese viene sospeso dal giudice a causa dell’emozione provata dal ragazzo. Chi sembra ricordare con piacere della sua famiglia è proprio la sorella che, tra le righe del giovane, spicca per il suo coraggio: «Diceva le cose in faccia a papà, io invece ho sempre avuto paura e non sono mai riuscito».


«Ho provato a farmi del male…»

In merito alle intercettazioni captate nei mesi successivi alla scomparsa della sorella in cui manifestava l’intenzione di uccidersi, il fratello di Saman risponde: «Ho provato a farmi male, in comunità a Parma ho bevuto il profumo, non ce la facevo più, avevo troppe cose in testa. Non riuscivo a portare tutte le cose con me…». Il giovane riferisce di non aver mai trovato pace per la sofferenza derivante dalla perdita della sorella che, anzi, è aumentata. Ma oggi torna a ribadire di essere riuscito a incanalare il dolore nel desiderio di «farle giustizia raccontando la verità» nelle aule di tribunale. E nel farlo ci tiene a prendere le distanze dalla cultura della famiglia: «Ci sono cresciuto, i miei genitori mi hanno insegnato che era vietato fare amicizia con le ragazze e per questo quella volta ho mandato la foto del bacio di Saman ai miei parenti. Ma ora tutto è cambiato. Mi sento italiano. Per come la penso, hanno fatto una cosa sbagliatissima».

La telefonata tra padre e zio

Il fratello riferisce di una telefonata che sarebbe intercorsa tra suo padre e suo zio dopo la scomparsa di Saman e temporalmente successiva a una perquisizione dove erano stati sequestrati dei telefoni. «Mio zio disse: “Adesso noi scappiamo, perché ci hanno preso i telefoni, si sono accorti. Ma papà disse “dovete stare lì, perché altrimenti penseranno che è davvero successo qualcosa”. Ma mio zio rispose: “Non possiamo stare qui, tu sei scappato in Pakistan, non hai problemi. Se prendono qualcuno, prendono noi». A quel punto il giovane partì con lo zio, prima in bici verso Gonzaga, poi in treno per Modena, e poi ancora a Como, dove passarono la notte a casa di un conoscente. Successivamente proseguirono il viaggio per Imperia, si ritrovarono con i due cugini (anche loro imputati, ndr) dove però furono controllati e il ragazzo, all’epoca minorenne, fu portato in Questura e trasferito in una comunità. Lo zio invece riuscì ad andare via dall’Italia con i cugini. Ma nei mesi successivi, i tre furono arrestati tra Francia e Spagna.

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