Giuliano Amato e la pace in Medio Oriente: «È possibile solo con il ritorno dello spirito di Oslo»

L’ex premier e presidente della Consulta: le piazze di sinistra sbagliano a sostenere Hamas

L’ex presidente del Consiglio e della Corte Costituzionale Giuliano Amato dice che il Medio Oriente deve tornare allo spirito di Oslo. Per una pace basata su due popoli e due Stati. Amato ha incontrato Yitzhak Rabin e Yasser Arafat nel 1993, a ridosso della ratifica degli accordi. Oggi dice in un’intervista a la Repubblica che dopo il 7 ottobre Israele «ha il diritto-dovere di reagire eliminando Hamas. La mia fermezza nasce anche da una semplice constatazione: Israele è la mia civiltà. Israele è me che sono lì. Tutta la storia delle persecuzioni ebraiche dimostra quanto della nostra civiltà la cultura ebraica sia parte e quanto abbia contribuito a farla crescere. Quello che ora non possiamo non chiederci, riflettendo sul sabato nero, è come ci siamo arrivati».


Come ci siamo arrivati

Secondo Amato il 7 ottobre è responsabilità «in primo luogo di chi ha governato Israele negli ultimi 15 anni». Poi ricorda un dialogo con Arafat: «Ricordo una conversazione a Palazzo Chigi in cui gli dissi: “Tu hai accettato che vi sia lo Stato sovrano di Israele su questa terra” – usai proprio queste parole formali. Lui assentì: “Questo io non posso non accettarlo”. “E allora è evidente”, proseguii, “che il diritto al ritorno dei palestinesi non potrà non essere concordato con lo Stato che ha la sovranità su quel territorio”. Taceva, ma non aveva argomenti da oppormi. Gli accordi di Oslo furono il momento più alto dell’incontro tra questi uomini di buona volontà, anche se Arafat non era certo privo di ambiguità. Ma la storia spingeva in quella direzione. Tutto ciò è venuto meno con il governo di Benjamin Netanyahu».


Le responsabilità di Netanyahu

Amato dice che in questi anni «sono state ridotte le possibilità concrete perché nascesse lo Stato palestinese, mangiando via via con un numero crescente di insediamenti in Cisgiordania il territorio che gli accordi di Oslo avevano destinato ai palestinesi. Ho seguito questa espansione grazie al lavoro dell’ebreo Henry Siegman, del cui gruppo americano facevo parte: Henry faceva disegnare sulle mappe il progressivo addensarsi degli insediamenti, un ostacolo crescente alla realizzazione degli accordi di Oslo. L’altro elemento di frattura era l’atteggiamento punitivo dei coloni e dei militari israeliani nei confronti della popolazione palestinese. E in tutto questo Netanyahu nulla ha fatto per impedire che Hamas venisse finanziata dal Qatar, con l’effetto di indebolire l’Autorità Nazionale Palestinese».

Le piazze di sinistra

L’ex premier aggiunge che le piazze di sinistra sbagliano a far sfilare le bandiere di Hamas. Mentre «non nella testa di Netanyahu ma di qualcuno dei suoi ministri c’è l’idea che la conquista di Gaza sia un legittimo obiettivo di Israele e quindi fa bene la comunità internazionale, a cominciare dal presidente Biden e dal bravissimo segretario di Stato Blinken, a sostenere che nella Striscia non potrà esserci un governo neppure transitorio di Israele. Qualcun altro la deve guidare. Ma la difficoltà è proprio qui». Dice che Abu Mazen non ha più l’autorità per portare la pace nella regione. E su Marwan Barghouti dice che per la pace ci vuole «un leader palestinese dotato di un forte credito e anche circondato dall’affetto del suo popolo. Barghouti potrebbe guidare il processo che porta verso la costituzione dello Stato palestinese».

L’Onu

Infine, nel colloquio con Simonetta Fiori Amato parla anche di un intervento dell’Onu: «La più forte delle autorità palestinesi potrebbe trovarsi in difficoltà nel riportare ordine in una situazione caotica in cui non c’è solo Hamas ma anche altri gruppi jihadisti. Ma deve esserci appunto la qualità: non soldati di paesi malandati, disponibili soprattutto a rimediare qualche dollaro in più».

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