Nuovi guai per la politica estera di Biden: «I fondi per l’Ucraina termineranno entro la fine dell’anno»

In una lettera inviata al Congresso Shalanda Young, direttrice del budget della Casa Bianca, ha avvisato i leader che senza l’approvazione di nuovi aiuti, il sostegno economico a Kiev finirà

La politica estera di Joe Biden continua a creare problemi alla Casa Bianca. La scelta del presidente di sostenere due guerre percepite da molti come lontane dalle priorità di Washington – quella contro l’aggressione russa in Ucraina e quella di Israele contro Hamas – sta creando non poche difficoltà all’amministrazione Biden. L’ultima arriva da Shalanda Young, direttrice del budget della Casa Bianca, che in una lettera inviata ai leader del Congresso ha detto che i fondi destinati a sostenere l’Ucraina sono destinati a finire entro la fine dell’anno se il Congresso non approverà nuovi aiuti: «Senza un’azione entro la fine dell’anno finiremo le risorse per le armi all’Ucraina», ha scritto Young. «Non ci sono fondi magici per far fronte a questo momento. Abbiamo finito i soldi – e abbiamo quasi finito il tempo», ha aggiunto la direttrice, aggiungendo che tocca ora al Congresso Usa decidere se «continuare a combattere per la libertà in tutto il mondo o ignorare le lezioni che abbiamo imparato dalla storia e lasciare che Putin e l’autocrazia prevalgano».


Gli aiuti

Dall’inizio della guerra il Congresso americano ha sostenuto Kiev con 113 miliardi di dollari, un aiuto che ha potuto contare a lungo su un’approvazione bipartisan. Tuttavia il sempre più probabile fallimento della controffensiva di Zelensky e la crescente fronda contraria alla guerra del partito repubblicano (che trova nel neo presidente della Camera Mike Johnson un solido rappresentante) stanno rompendo la rete di sostegno di Kiev. Al punto che, pur di far approvare gli aiuti, il presidente Biden ha unificato quelli per l’Ucraina e per Israele, con una convinzione: se il sostegno repubblicano a Zelensky vacilla, quello a Netanyahu non è in discussione. Eppure neanche questa mossa sembra funzionare se, come ricorda il Washington Post, al momento i 106 miliardi di dollari chiesti da Biden per sostenere l’Ucraina e Israele sono bloccati a Capitol Hill, dove sempre più esponenti politici repubblicani stanno usando i conflitti per screditare l’operato di un presidente considerato troppo impegnato all’estero e poco in patria.


La war fatigue e la rabbia degli arabi-americani

Le cose per Biden non vanno meglio lontano dai palazzi di potere. Se l’Ucraina è già da tempo lontana dalle priorità dei cittadini americani, dove avanza – mese dopo mese – quella che gli esperti hanno definito war fatigue, il sostegno a Israele mette in crisi la presidenza Biden in due dei segmenti più forti del suo elettorato: i giovani e gli arabi-americani. Dietro il tentativo americano di convincere Netanyahu a fermare i bombardamenti a Gaza non c’è infatti solo la volontà dell’amministrazione di arginare spargimento di sangue e i disordini internazionali, ma le preoccupazioni crescenti per il voto della comunità araba-americana. Da quando è iniziato il conflitto, la posizione di sostegno di Biden nei confronti di Israele ha allontanato un segmento elettorale storicamente vicino ai democratici. Se alle elezioni del 2020 quasi il 60% degli arabi americani avevano scelto Biden, secondo un sondaggio dell’Arab American Institute, la percentuale di quanti lo voterebbero il prossimo anno è crollata al 17%. Un numero che avvicina ancora di più lo spettro del ritorno di Donald Trump.

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