Barbera, nuovo presidente della Consulta, ne criticava l’eccesso di poteri: «È un organismo non legittimato democraticamente», spiegava da politico

In Parlamento cinque volte, dal Partito comunista al Pd, il nuovo capo della Consulta aveva anche sostenuto l’idea berlusconiana del premierato

Augusto Barbera, che oggi è diventato presidente della Corte Costituzionale, da politico criticava spesso l’eccesso di potere della Consulta in particolare dopo la riforma costituzionale del 2001, sostenendo che alcune funzioni affidatele nella regolazione fra Stato centrale e autonomie avevano portato la Corte a sostituirsi al Parlamento anche contraddicendo la volontà politica espressa in quelle aule. Barbera che era stato eletto in parlamento per la prima volta (di cinque) nel Partito comunista italiano e poi aveva seguito l’evoluzione del partito in Pds-Ds-Pd, nel 2004 in più interventi in parlamento e pure in una intervista ad Andrea Cangini su QN, aveva appoggiato contro il parere del suo partito il premierato voluto da Silvio Berlusconi, sostenendo però che quella riforma era ancora timida, e lo era perfino sul punto più contestato: la devolution voluta da Umberto Bossi.


A Cangini il futuro presidente della Consulta spiegò: «Con questo testo il vero arbitro nei rapporti fra Stato e Regioni sarà la Corte Costituzionale, ovvero un organismo non legittimato democraticamente». Barbera ribadì la sua opinione anche in un testo mandato in Senato pochi giorni dopo sulla riforma Berlusconi del titolo V della Costituzione: «Trovo complessivamente positiva questa parte del testo del Governo perché ha sostituito ad un sistema di competenze rigide “governate” dalla Corte costituzionale (come fin qui avvenuto) un sistema di competenze flessibili “governate” con il concorso del Senato. Inutile sottolineare quanto sia più funzionale (e democratica) quest’ultima alternativa. La funzione fin qui svolta prevalentemente dalla Corte costituzionale va ripresa in mano dal Parlamento, dalla sede della rappresentanza democratica, assicurando tuttavia la partecipazione delle Regioni e delle autonomie».


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