Fin dalle prime ore dopo la strage del 7 ottobre si sono guardati con sospetto, a tratti con esplicito disprezzo. Poi col passare delle settimane quello tra Benjamin Netanyahu e le famiglie degli ostaggi rapiti da Hamas (molte tra loro, quanto meno) è diventato un rapporto nel segno dello scontro, continuamente sotto traccia quando non trova occasione di deflagrare. Come accaduto oggi, 25 dicembre, alla Knesset, il Parlamento d’Israele. Netanyahu stava riferendo alla Camera unica del Paese sul procedere della guerra a Gaza, garantendo per l’ennesima volta che i combattimenti non si fermeranno sinché non sarà stato raggiunto l’obiettivo chiave dell’operazione: sradicare Hamas dalla Striscia di Gaza. «La battaglia s’intensificherà nei prossimi giorni», ha anzi ribaltato la prospettiva oggi il premier dello Stato ebraico, nel giorno in cui da Gaza giunge notizia di un tragico bilancio di 129 vittime in diversi raid aerei condotti dall’Idf. Ma in tribuna alla Knesset oggi c’erano degli ospiti d’eccezione: una nutrita di delegazione di famigliari dei circa 130 ostaggi ancora nelle mani di Hamas e degli altri gruppi islamisti (o criminali). Una larga fetta di essi non ne può più di continuare a sentire i proclami bellicosi di Netanyahu, mentre le trattative dietro le quinte per una nuova tregua – che potrebbe servire a riportare a casa i loro cari – restano al palo. E così mentre Netanyahu spiegava la sua «dottrina» per Gaza, i parenti degli ostaggi lo hanno interrotto urlando a ripetizione: «Non c’è tempo! Adesso!». Sorpreso dal fuori programma, Netanyahu ha fermato il discorso per qualche secondo, poi ha proseguito.
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