Trattativa Stato-mafia, l’ex pm Ingroia sulle intercettazioni tra Napolitano e Mancino: i sospetti su Berlusconi e quelle «chiamate imbarazzanti»

Per l’avvocato «quella è rimasta un’indagine incompiuta per volontà politica»

L’ex magistrato di Palermo Antonio Ingroia rivela nuovi dettagli sulle intercettazioni acquisite nell’inchiesta Stato-mafia, tra Giorgio Napolitano all’epoca del suo mandato presidenziale e il politico Nicola Mancino. Nel 2013 la Corte costituzionale accolse il ricorso del Quirinale contro la Procura di Palermo per conflitto di attribuzione, ordinando la distruzione delle intercettazioni tra i due. Successivamente, gli avvocati del pregiudicato Massimo Ciancimino presentarono un ricorso alla Corte di cassazione, ma quest’ultima dichiarò il ricorso inammissibile. Così, nell’aprile 2013, il giudice per le indagini preliminari di Palermo fece distruggere le intercettazioni. Oggi, in un’intervista a La Verità, Ingroia sostiene che a preoccupare l’ex presidente della Repubblica non era «solo il contenuto delle telefonate intercettate in sé, imbarazzanti per il presidente ma penalmente irrilevanti, bensì la minaccia costituita da quell’indagine che stava pericolosamente avvicinandosi a certi “segreti di Stato” che andavano a tutti i costi difesi. Con quel conflitto di attribuzione – confessa – la Procura venne fermata sulla soglia delle “verità indicibili” di cui parlava il povero collaboratore di Napolitano, Loris D’Ambrosio».


«Un’indagine rimasta incompleta per volontà politica»

Per questo, chiosa, «quella è rimasta un’indagine incompiuta per volontà politica». Quali fossero le cosiddette «verità indicibili», non è dato saperlo: «Se le sono portate nella tomba D’Ambrosio prima e Napolitano poi», commenta l’ex pm a colloquio con Giacomo Amadori. Non può svelarne il contenuto ma spiega che in quelle intercettazioni «c’erano più considerazioni di tipo politico istituzionale che argomenti giudiziari». E lascia intendere che tra i diversi commenti, alcuni tramavano contro Silvio Berlusconi. Quest’ultimo, prosegue Ingroia, «ha pregato Re Giorgio di restare al suo posto al Quirinale, ma se avesse conosciuto il contenuto di quelle conversazioni probabilmente non lo avrebbe fatto». Sollecitato sull’ipotesi che in quelle telefonate Napolitano possa aver riferito a leader europei informazioni che potevano danneggiare l’allora presidente del Consiglio, Ingroia non conferma e non smentisce.


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