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L’ultima idea di Israele per il dopoguerra: affidare la gestione di Gaza ai clan locali. «Meglio loro dell’Onu»

04 Gennaio 2024 - 13:11 Simone Disegni
Il piano per il «Day After» sul tavolo del governo a poche ore dal ritorno di Antony Blinken. Smentite le voci di un piano di sfollamento dei palestinesi in Congo

Che succederà nella Striscia di Gaza il giorno dopo la fine della guerra? La domanda aleggia nell’aria da ormai quasi tre mesi, da quando il 7 ottobre il massacro di Hamas nel sud di Israele ha dato inizio all’ultimo e (forse) definitivo conflitto tra il gruppo terroristico e lo Stato ebraico. Pressati dagli americani, i dirigenti israeliani fin qui non hanno saputo o voluto delineare una chiara roadmap per il dopoguerra. «Prima finiamo il lavoro, smantellando Hamas, poi ce ne occupiamo», era in essenza il mood di Netanyahu, preoccupato in primis di vendicare la vergogna del 7 ottobre. Linea dura mantenuta anche negli unici paletti piantati dal premier sul tema, in contrasto con la Casa Bianca: 1) L’esercito israeliano dovrà mantenere la «responsabilità per la sicurezza» della Striscia per qualche tempo anche dopo la fine della guerra vera e propria; 2) Dopo, nessuno spazio per l’Autorità nazionale palestinese di Abu Mazen, considerata inaffidabile. In realtà dietro le quinte militari, intelligence e ministri discutono da settimane dei possibili scenari, vagliando, scartando e verosimilmente scontrandosi sulla loro fattibilità. E oggi – guarda a caso a poche ore dal ritorno del segretario di Stato Usa Antony Blinken nella regione – il gabinetto di guerra discuterà per la prima volta un vero e proprio «Day After Plan» per Gaza, predisposto dal ministro per gli affari strategici Ron Dermer (che a fine anno è stato negli Usa per tastare il terreno con l’amministrazione Biden). Cosa conterrà?

Il destino dei civili di Gaza

Ufficialmente non è dato saperlo, ufficiosamente sui media israeliani il governo ha lasciato trapelare i primi dettagli. Di certo il documento non conterrà alcun progetto di sfollamento coatto dei circa 2 milioni di civili di Gaza verso un Paese terzo – arabo o africano che sia. Nelle scorse ore aveva fatto scalpore la voce circolata di contatti tra il governo israeliano e quello del Congo, descritto come disponibile ad accogliere decine di migliaia di palestinesi. «Israele non sta negoziando con alcun Paese l’emigrazione volontaria» dei gazawi, ha messo in chiaro ieri un portavoce dell’esecutivo, sbarrando la strada anche ai due leader dell’ultradestra che ne fanno parte. Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir avevano infatti rilanciato esplicitamente all’inizio della settimana il proposito di «incoraggiare la migrazione volontaria dei residenti di Gaza verso Paesi che accetteranno di accogliere rifugiati». Una retorica «provocatoria e irresponsabile», è saltata sulla sedia con rara durezza la Casa Bianca. Inevitabile quindi la correzione di rotta ufficiale, con il portavoce che ha riportato la discussione su termini meno lunari, ricordando a tuti come «i palestinesi non vogliono lasciare Gaza, e nessun Paese è disposto ad assorbire due milioni di persone, né uno o mezzo». Nella realtà, invece, Israele non potrà impedire ai residenti di Gaza di far ritorno alle proprie case sin dal momento in cui cesserà la fase di combattimenti «ad alta intensità» della guerra, hanno detto funzionari di sicurezza al Canale 13 – sorvolando sul fatto che delle loro case le centinaia di migliaia di sfollati verso sud ritroveranno dopo tre mesi di raid massicci ben poco.

ll coinvolgimento dei clan famigliari

Quanto al punto più delicato sul piano politico e della sicurezza, quello della futura governance della Striscia, l’ultima idea che fa capolino e che potrebbero essere inclusa nel documento è quella di affidare la gestione ai clan famigliari più forti nella zona ma non legati a Hamas. Lo scrive stamattina il Jerusalem Post, che pure rileva le ombre del progetto. L’idea sarebbe quella di affidare «inizialmente» l’amministrazione locale a quei gruppi famigliari più influenti «collegati a specifiche città o settori». Si occuperebbero in quella fase soprattutto della gestione della distribuzione di acqua, cibo e altri beni essenziali. Una sorta di test, parrebbe di capire, per sondare la loro affidabilità in vista di un’espansione del loro ruolo nella gestione degli affari civili di Gaza. Fermo restando che l’Idf non rinuncerà a garantire direttamente con vari strumenti che la Striscia sia e resti demilitarizzata. Un piano questo che lo stesso quotidiano di Gerusalemme bolla però come per lo meno «sfidante», considerato che Hamas guida Gaza da 16 anni, e non è chiaro come sia possibile individuare clan influenti nella Striscia che siano davvero slegati dal movimento terroristico responsabile dell’eccidio del 7 ottobre. S’attendono lumi dalla possibile versione ufficiale. Che potrebbe dirimere le controversie interne al governo anche su un altro punto delicato: il futuro della missione Onu che sin dal 1948 si occupa (o dovrebbe occupare) dell’assistenza alla popolazione palestinese, l’Unrwa. Un presidio internazionale cruciale per dare sostegno ai civii di Gaza, per l’Onu. Un’agenzia dimostratasi in troppe occasione inefficace e, peggio, collusa con Hamas, denuncia da tempo Israele. Secondo il Canale 12 il governo vorrebbe escluderla dal futuro della Striscia. Ma funzionari di Tel Aviv per ora si mantengono più cauti, facendo sapere che al momento «non c’è organizzazione altrettanto efficace nel distribuire l’assistenza umanitaria» ma che in futuro «altre opzioni sono preferibili».

Immagine di copertina: Sfollati palestinesi arrivano nella città di Rafah, nel sud della Striscia di Gaza – 27 dicembre 2023 (Ansa-EPA / Haitham Imad).

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