Bud Spencer, il ricordo del figlio Giuseppe Pedersoli: «Con Terence Hill non si prendevano e le diete non facevano per lui»

«Papà era la persona più buona del mondo»

Giuseppe Pedersoli, sceneggiatore e produttore tv, è uno dei tre figli di di Carlo, in arte Bud Spencer. E oggi lo ricorda in un’intervista al Corriere della Sera: dice che «papà era la persona meno severa al mondo». E rammenta che quando doveva accompagnarlo a scuola spesso invece lo portava in gita all’aeroporto dell’Urbe o alla scuola di aviazione di Foligno. Ricorda anche che quando seppe che il figlio doveva allenarsi quattro ore al giorno per il nuoto, rispose: «Non se ne parla, Peppotto, sarebbe un’ammazzata». Giuseppe Pedersoli ricorda suo padre come un gigante: «Un metro e 92 per 120 chili, poi saliti a 165. Da giovane era bellissimo, poi si è lasciato andare, ma aveva analisi perfette. Non dava affatto l’idea di un ciccione, piuttosto di un uomo molto forte. Aveva gambe magre, camminava e danzava con leggerezza, ballò con Raffaella Carrà. Era atletico, nonostante la stazza».


La coppia e il cinema

Ma nonostante questo non metteva paura: «Una sola volta, per una rispostaccia, mi diede uno schiaffetto su una gamba. Mai visto arrabbiato più di un minuto». A casa c’era poco perché girava tre o quattro film l’anno. E non era nemmeno troppo convinto di voler fare cinema: «Forse si sentiva inadeguato». Nel colloquio con Giovanna Cavalli il figlio di Bud Spencer ricorda la coppia con Terence Hill: «Papà lo chiamava Mario – l’unico a poterlo fare – lui Carlo. Fuori dal set erano due grandi timidi che non sapevano bene come prendersi. Terence è buono e gentile, però molto introverso. E poi, quando non lavorava, viveva negli Stati Uniti. Saranno usciti a cena insieme tre volte in vita loro. Ogni tanto veniva da noi per la spaghettata di mamma. In scena invece si trasformavano, tra loro c’era emozione vera, si creava un’armonia perfetta».


Le scene d’azione e la miopia

Il figlio ricorda che Bud Spencer adorava le scene d’azione: «Ma non si è mai fatto male. Terence invece qualche punto se l’è messo. Come quando il cattivo del film doveva colpire mio padre con una tavola di legno, lui però si scansò e la botta in testa se la prese Trinità». Negli inseguimenti «papà era eccezionalmente miope, portava occhiali spessissimi. Per girare doveva toglierli, non vedeva quasi niente, eppure quelle scene voleva girarle senza controfigura, non so come facesse. In Piedone lo sbirro c’è lui che su una Fiat 130 coupé insegue una Lamborghini per le vie di Napoli. Tenga conto che, qualche anno fa, in aeroporto, invece del pulsante dell’ascensore ha premuto quello di un distributore di bibite».

Le diete e la sua ultima parola

Le diete invece con lui non funzionavano: «Partiva sempre con un carico di spaghetti, olio e pomodori. Una volta li ha conditi con i cornflakes. La sua roulotte era affollata, cucinava la sarta Ida. Se gli facevi due kg di pasta poteva mangiarseli tutti. Andò da Messeguè, in Svizzera. Gli presentarono un vassoio con due pere cotte. Al che saltò dalla finestra del primo piano e scappò in rosticceria. La seconda volta gli fecero pagare dieci giorni in anticipo, resistette due. La famosa sera di Italia-Germania 4 a 3, con il produttore Italo Zingarelli, 180 chili pure lui, si fecero fuori 60 polpette e non so quanti filetti di baccalà». Infine, l’ultimo ricordo: «Puoi anche avere Superman come padre, ma arriva il momento in cui lo vedi diventare fragile. Quando ha capito che non poteva più giocare, si è lasciato andare. Non c’è da sette anni però è come se si fosse “virtualizzato”. È ancora qui. Sentiamo il suo passo, il vocione, il profumo, una sera sì e una no lo vediamo in tv. Non era un santo o un divo, ma uno di famiglia. La sua ultima parola fu “Grazie”».

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