Saluto romano, la Cassazione: «Reato a determinate condizioni o quando si vuole ricostituire il partito fascista»

Le sezioni unite restringono il campo di applicazione del reato. La procura generale aveva chiesto di punire le braccia tese quando indicative di comportamenti pericolosi per l’ordine pubblico

Il saluto romano è reato, ma non sempre, solo «a determinate condizioni» o se si voglia ricostituire il partito fascista. L’annosa questione riesplosa proprio recentemente, dopo la contestata manifestazione in ricordo della strage di Acca Larenzia, è stata affrontata oggi, 18 gennaio, dalle Sezioni unite della Cassazione. E a metà pomeriggio è stata diffusa una nota stampa in cui si spiega che i supremi giudici ritengono reato due fattispecie specifiche: «Il concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista» e «a determinate condizioni» un saluto romano che comporti una «manifestazione esteriore propria o usuale di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione e alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi».


Sul tema, infatti, il tribunale di Milano aveva chiesto e ottenuto di poter sentire il parere delle Sezioni Unite penali della Cassazione, chiamate ad affrontare la questione. Il caso milanese ruota attorno a una commemorazione organizzata nel 2016 a Milano, per la morte Enrico Pedenovi, Sergio Ramelli e Carlo Borsani, nell’ordine un esponente del Movimento sociale italiano, un giovanissimo militante del Fronte della gioventù morto nel 1975 a Milano in seguito all’aggressione da parte di un gruppo appartenente ad Avanguardia operaia e un gerarca fascista, da cui è scaturito un processo a carico di otto persone che risposero al grido “presente” con il saluto romano. In primo grado i partecipanti furono assolti e in secondo grado condannati, di qui la decisione di arrivare fino al Palazzaccio. Che a questo punto è stato rinviato alla corte di Appello per essere rivalutato.


Cosa valuta la Cassazione

La questione puntava a stabilire l’eventuale violazione in particolare di due norme: la legge Scelba e la legge Mancino. La prima, introdusse nel 1952 il reato di apologia del fascismo e nasceva come estensione delle norme transitorie e finali della Costituzione che violano la ricostituzione del partito. La seconda, del 1993, sanziona e condanna frasi, gesti, azioni e slogan aventi per scopo l’incitamento all’odio, l’incitamento alla violenza e la discriminazione e nasce come attuazione in Italia di direttive europee e internazionali. In estrema sintesi, finora quando si è valutato il braccio teso collegandolo all’applicazione della legge Scelba, è sempre arrivata l’assoluzione perché è difficile che il gesto di per se porti alla ricostituzione del partito. Situazione più complessa e in qualche caso foriera di condanne, l’applicazione della legge Mancino. I nodi da sciogliere dunque erano più di uno: tendere un braccio costituisce un pericolo per la ricostituzione del disciolto partito fascista? E il gesto va condannato anche quando non configura un pericolo concreto ed attuale per la pacifica convivenza? E ancora: chi decide quando queste condizioni sussistono?

La posizione del Pg

Il procuratore generale Pietro Gaeta ha sostenuto che il saluto fascista viola la legge Mancino, nel momento in cui realizza un pericolo concreto al bene tutelato dalla norma, ovvero l’ordine pubblico. In altre parole, a suo avvio bisogna distinguere tra le semplici «commemorazioni di quattro nostalgici davanti a qualche tomba» e le manifestazioni incendiarie. Ma il fatto può essere considerato reato a prescindere dalla volontà di ricostituire il partito fascista. Prima dell’udienza di oggi, il pg aveva inviato alle parti delle note di udienza, su cui si è poi basata la requisitoria. Nel documento, lungo 17 pagine, Gaeta ripercorreva sia le sentenze che hanno riguardato il saluto a braccio teso nel corso degli anni, sia le normative che a queste manifestazioni sono state applicate, dalla legge Scelba (1952) alla Mancino (1993) passando per la legge Reale (1975). Escludeva che il braccio teso fosse reato solo quando messo in atto da partiti che hanno nella loro ragione fondante, quando non in uno statuto scritto o dichiarato, la ricostituzione di un partito fascista o di organizzazioni razziste o xenofobe, perché queste fattispecie sono già punite a prescindere dal saluto romano. Scrive quindi:

“A leggere la fattispecie di cui all’articolo 2, del dl n. 122 del 1993 esclusivamente alla luce del nesso funzionale con organizzazioni o gruppi oggi esistenti e di dichiarata e formalizzata fede di discriminazione razziale, etnica, religiosa ecc, finisce con lo smarrirsi l’intima ratio della incriminazione stessa. Quest’ultima va piuttosto individuata nella concreta idoneità della manifestazione comunicativa a mettere in concreto pericolo l’ordine pubblico materiale”.

E aggiungeva poi ancora il pg:

“L’accertamento da parte del giudice dovrà valutare il contesto in cui si colloca la singola condotta, in modo da assicurare il contemperamento dei principi che presiedono alla tutela del c.d. ordine pubblico in senso materiale con quello della libertà di espressione, e da valorizzare perciò l’esistenza di accertare la concreta pericolosità del fatto. […] E’ quanto insegna, d’altronde, l’esperienza del reale: una manifestazione di “saluto romano” con l’evocazione del “presente” esige una diversa valutazione, in punto di pericolo concreto per l’ordine pubblico, se svolta in un piccolo e isolato cimitero di provincia da qualche nostalgico, piuttosto che da un migliaio di persone nel viale Argonne di Milano”

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