Mahmood torna alle origini con un vestito di gala Gold: «Non penso mai alla vittoria senno finisce l’avventura» – Video

Mahmood in gara con “Tuta Gold” al Festival di Sanremo ha raccontato a Open come vive il ritorno sul palco che l’ha visto trionfare già tre volte (una nella sezione Giovani)

Il Mahmood di Gioventù Bruciata che vinse nel 2018 Sanremo Giovani, guadagnandosi un posto tra i big di Sanremo 2019, voleva provarci, immergere un piede nelle acque infestate dalle correnti della musica italiana per capire la temperatura. Il Mahmood di Sanremo 2019 con Soldi voleva solo farsi vedere e invece oltre a vincere ha dato letteralmente il via ad una nuova era della storia del pop italiano, non a caso mettendosi alle spalle Ultimo e Il Volo. Il Mahmood di Brividi, quello in coppia con Blanco, Sanremo 2022, gira in ciabatte per l’Ariston, forte di un nome che nel frattempo si è ampiamente consolidato nella discografia nostrana e soprattutto forte di un brano indiscutibilmente ben fatto, estremamente più efficace di quello degli altri; vincono a mani basse, non c’è proprio sfida. Ora non resta che aspettare il Mahmood di Tuta Gold, brano che anticipa il nuovo album Nei letti degli altri, che ai microfoni di Open dice che è qui per divertirsi, per mostrare il suo cambiamento, diremmo noi, avendo ascoltato già il disco in anteprima, la sua evoluzione, una delle più interessanti di tutto il panorama musicale italiano: «E’ più bello viverlo come un’avventura dove non si sa dove si va a finire».


Mahmood l’innovatore

Mahmood piglia tutto dunque, le sue partecipazioni a Sanremo non sono mai casuali, per la sua carriera, che poi naturalmente subisce sacrosantissime svolte, né per, in generale, la musica italiana. Questo perché Alessandro Mahmoud, così all’anagrafe, è di sicuro uno degli artisti che meglio rappresentano il periodo musicale che stiamo vivendo, o forse sarebbe più corretto dire che Mahmood rappresenta il meglio che il mercato discografico italiano ha da offrire in questo momento. Questo perché essere cool come lo è lui, abile sperimentatore di suoni e parole e look come lo è lui, non significa automaticamente essere leggeri, una lezione che il pubblico, specie adulto, dovrebbe imparare non solo dinanzi al suo lavoro, ma anche a quello di un’intera generazione di nuovi artisti che non sono tutti da incasellare come giovanotti schiavi dell’autotune con i tatuaggi in faccia e «che tempi brutti signora mia!». Basterebbe invece concentrarsi sulle intuizioni musicali di Mahmood, sull’interpretazione che regala ai suoi brani, come se fosse una finestra su un mondo che sembra orbitare a metà strada tra una pagina strappata via da un romanzo di Lewis Carroll e la poetica della strada che Spike Lee riesce a raccontare nei suoi film. Nei brani di Mahmood tutto è rarefatto, la voce e le parole smettono di avere un significato musicale preciso e si riducono alla propria essenza di suoni, quelli che poi ti prendono per mano per farti attraversare una selva piena di inciampi, di dolori, di cicatrici del passato, di colori tenui e avvolgenti. La vita insomma.


Se la musica serve anche a leggere la realtà che ci circonda dobbiamo anche accettare che la musica sia in continua evoluzione esattamente come la realtà che ci circonda. In questo senso Mahmood è il perfetto prototipo di evoluzione musicale, uno dei pochi a saper mettere insieme i contenuti, l’intimità del proprio sentimentalismo e una visione così centrata; in questo senso il ragazzo milanese di mamma sarda e padre egiziano, con i suoi pezzi indica proprio il futuro. Bisogna anche accettare, sempre in termini di evoluzione, un confronto con il mercato internazionale, che di base guarda ancora all’Italia con lo stereotipo del pizzaiolo che canta “’O sole mio” facendo roteare per aria una pizza. Provate allora a regalarvi un concerto di Mahmood all’estero (chi scrive pensa allo splendido live al Melkweg di Amsterdam nel 2022 al quale ha assistito), provate a raccogliere gli sguardi pieni di gioia del pubblico internazionale messo a contatto con queste sonorità visionarie, futuriste, contagianti, a loro del tutto familiari, da noi ancora guardate con uno sguardo torvo e sospettoso. Resterete stupiti da un’energia che spogliata dai ninnoli del classico italico fanatismo torna ad essere meravigliosamente e squisitamente musica, che si illumina, che ti scuote, che ti abbraccia, che ti fa ballare, sudare ed essere felice. Così dovrebbe essere, così non è sempre, ma così è regolarmente per quanto riguarda la musica di Mahmood. A questo punto non resta che scoprire quali orizzonti cavalcherà Mahmood con Tuta Gold, un vestito nuovo per il più importante galà della stagione musicale italiana, un brano che sembra riportarlo in zona urban, lì dove si è formato, dove è stato scovato e innescato. Si tratta di un pezzo un po’ più complesso, più tortuoso, rispetto a quelli finora presentati in gara a Sanremo, ma dare un giudizio che sia definitivo non è materialmente possibile, qui l’unico con un passo già nel futuro è Mahmood, ma lo fa mettendo avanti la sua musica e non è una premonizione del futuro, Mahmood, armato della sua musica, è il futuro; lo vive, lo incarna e ad ogni giro ce ne regala un pezzetto.   

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