Israele-Hamas, Biden rilancia i negoziati: «Lavoriamo a una tregua di 6 settimane». I capi di Cia e Mossad di nuovo al Cairo per trattare

La nuova spinta diplomatica Usa anche per scongiurare l’offensiva di Netanyahu a Rafah. Per l’Onu avrebbe conseguenze «terrificanti»

«Gli Stati Uniti stanno lavorando ad una tregua nei combattimenti tra Israele e Hamas di almeno sei settimane tale da permettere il rilascio degli ostaggi e la costruzione di qualcosa di più sostenibile». Lo ha detto questa sera a Washington il presidente americano Joe Biden dopo aver incontrato alla Casa Bianca il re Abdallah di Giordania. L’Amministrazione Usa dunque non si rassegna alla porta chiusa da Israele la scorsa settimana alle richieste di Hamas per un cessate il fuoco permanente, anzi torna a spingere sul pedale delle trattative. Anche per scongiurare l’offensiva israeliana su Rafah che terrorizza i civili palestinesi e la comunità internazionale. A confermare il nuovo slancio diplomatico – l’ennesimo dopo una lunga serie di tentativi falliti – è anche la notizia che una delegazione israeliana guidata dal capo del Mossad David Barnea sarà nuovamente al Cairo da domani per incontrare il direttore della Cia William Burns e i mediatori di Egitto e Qatar. Sono gli interlocutori impegnati ormai da mesi a cercare di aprire una strada per una tregua più o meno durevole. A dare notizia della nuova missione in Egitto è il giornalista di Axios ed esperto di Medio Oriente Barak Ravid.


Borrell chiede a Biden di passare dalle parole ai fatti

«Sempre più persone in giro per il mondo dicono apertamente che le operazioni di Israele sono sproporzionate, e che il numero di vittime causate è eccessivo: ora lo dicono perfino gli Usa, i principali alleati di Israele. Forse è arrivato il momento di andare oltre le parole». Josep Borrell, Alto rappresentante Ue per la politica estera, parla a margine della riunione dei ministri dello Sviluppo dei 27 e alza di un tono la portata della posizione europea sul conflitto a Gaza. L’ombra della possibile offensiva finale di Israele su Rafah, la città più a sud della Striscia dove sono stipati ormai oltre 1 milione di civli palestinesi, inquieta la comunità internazionale, con l’Alto commissario Onu per i diritti umani Volker Turk che definisce la prospettiva semplicemente «terrificante». Nel weekend Joe Biden ha rotto gli indugi e chiamato direttamente al telefono Benjamin Netanyahu per chiedergli di desistere dall’attacco a Rafah, per lo meno «in assenza di un piano credibile per mettere in sicurezza i civili». Oggi Borrell completa idealmente il ragionamento, anzi si spinge oltre, con quei ripetuti riferimenti al da farsi “oltre le parole”. In che senso? «Beh, se credi che troppe persone vengano uccise, forse dovresti inviare meno armi perché ciò succeda», lascia cadere Borrell pur senza precisare esplicitamente il destinatario del suo appello. «L’Unione europea di armi a Israele non ne manda, altri sì». Di fatto Borrell manda a dire agli Usa che è tempo di ridurre o di condizionare l’invio di armi a Israele sino a quando le “indicazioni” di chi lo sostiene non saranno rispettate.


Possibile stop agli invii di armamenti dall’Olanda

Solo due settimane la Casa Bianca aveva dovuto smentire indiscrezioni di stampa Usa secondo cui fosse in corso una valutazione proprio nel senso auspicato da Borrell: la supposta riduzione fino alla sospensione dell’invio di alcune armi come forma più concreta di pressione politica su Israele. Difficile pensare che l’opzione non sia per lo meno in corso di valutazione, notoria ormai l’intolleranza di Biden per Netanyahu: tanto politica quanto personale. Proprio nelle scorse ore un altro segnale nella direzione di una possibile sospensione di invii di armamenti a Israele è arrivato invece dall’Olanda: una corte d’appello ha ordinato infatti al governo di bloccare l’esportazione di componenti dei caccia F-35 allo Stato ebraico in nome del «chiaro rischio che esse siano usate per serie violazioni del diritto internazionale umanitario»: della cui sorveglianza sono custodi come noto tribunali internazionali con sede nel Paese, all’Aja. La sentenza dà 7 giorni di tempo al governo per adeguarsi, ma l’esecutivo farà ricorso alla Corte suprema contro la decisione, e ha già fatto sapere che non si uniformerà alla richiesta prima del pronunciamento dell’alta corte.

La frustrazione del Regno Unito

È chiaro però che una breccia si è ormai aperta anche nei Paesi da sempre più arcigni sostenitori delle ragioni di Israele: troppo in là sembra essersi spinto Netanyahu nel prolungare l’offensiva militare a Gaza senza dare alcun’idea concreta di una visione politica per il dopo, troppo catastrofico lo scenario di una possibile invasione anche di Rafah. «È impossibile vedere come si possa combattere una guerra fra la gente», ha sbottato oggi il ministro degli Esteri britannico, David Cameron, per poi richiamare le autorità israeliane a «fermarsi e riflettere molto seriamente prima di ogni ulteriore azione militare: vogliamo una pausa immediata dei combattimenti che conduca a un tregua sostenibile senza ripresa delle ostilità».

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