Arianna Mihajlovic e il marito Sinisa: «Il Bologna ha pagato il suo stipendio fino alla fine del contratto»

La moglie dell’allenatore e calciatore: sono stata depressa, poi un medico mi ha aiutata

Arianna Mihajlovic parla oggi del marito Sinisa e della sua morte. Ma anche della depressione che l’ha colpita dopo il decesso: «Il professionista a cui mi sono rivolta ad un certo punto mi ha detto: Arianna, o ti rialzi e vivi per te e i tuoi figli, oppure ti lasci andare e te ne vai come Sinisa. Frasi forti, che mi hanno scosso e ricordato chi sono: vengo dalla borgata, ho avuto una palestra di vita molto pesante e oggi raccolgo i frutti di quella esperienza. Non lo nego, niente è come prima, ma ho dei figli meravigliosi e una nipotina. Ho deciso di vivere». Nell’intervista rilasciata al Messaggero ricorda che domenica c’è Lazio-Bologna: «È la partita di Sinisa, tornerò allo stadio e mi riavvicinerò al calcio da cui mi ero allontanata. Ci tengono anche i miei maschietti, sono tifosi sfegatati della squadra biancoceleste».


L’esonero

Poi parla dell’esonero del marito da allenatore del Bologna: «Sinisa non se lo aspettava e ci è rimasto molto male, d’altronde lo aveva anche detto. Non si sarebbe mai dimesso, voleva continuare perché la sua voglia di lottare era unica. Il Bologna ha scelto un’altra strada e non posso giudicare: ha onorato lo stipendio di mio marito fino alla scadenza del contratto. Un gesto straordinario, che in un momento di sbandamento mi ha dato delle sicurezze. Il presidente Saputo, Bergamini, Fenucci, Marchetti, Di Vaio: nessuno mi ha dimenticato, una società speciale e una città speciale. Anche con Sabatini c’era un rapporto pazzesco». La città, dice, non li ha mai fatti sentire soli: «Ci era entrata nel cuore ancora prima della malattia. E durante il percorso di sofferenza è diventato un amore viscerale: le settimane in ospedale, la sofferenza al campo di allenamento. Tutto condiviso con gente meravigliosa».


Roberto Mancini

Racconta che tra Sinisa e Roberto Mancini c’è stato un momento di turbolenza: «Vicende personali, forse incomprensioni, certamente chiarite con velocità. Negli ultimi giorni di vita, Sinisa mi aveva detto che Roberto era nel suo cuore come altri tre o quattro suoi amici. Lui non è mai mancato accanto a noi quando la morte si stava avvicinando». Dice che i figli sapevano tutto della malattia del padre: «Dopo la ricaduta, la situazione si è aggravata e quando i medici non ci hanno dato più speranze io mi sono confrontata con i miei cinque figli. Tutti insieme abbiamo deciso di non procurare un altro dolore a Sinisa. Oggi, un po’, questo pensiero ci tormenta: lo abbiamo tradito oppure amato, nascondendo la verità? Ancora non l’ho capito».

La cura sperimentale

Anche della cura sperimentale provata ma non riuscita: «Sì, ricordo ancora il viaggio verso Roma, io e lui chiusi nel silenzio. Amò – mi chiamava così – a cosa stai pensando, mi sussurrava ogni tanto. Io gli facevo coraggio e lui mi gelò: sai, mi dispiace che i miei figli non avranno più un padre e che i miei nipoti non avranno un nonno». Ora passa le giornate cercando «di non stare a casa, non ci riesco, troppa memoria, almeno per adesso. Vedo le mie amiche, mi occupo degli affari che gestiva Sinisa, poi ho dei momenti di crisi da cui esco con l’aiuto dei miei figli. Un giorno Nicolas, il più piccolo, mi ha chiesto di fare l’albero di Natale. Da sola non ce l’avrei mai fatta: guardi, lo vede? È ancora al centro della sala e non riesco a smontarlo».

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