Dall’Ucraina a Gaza, l’acqua come arma nei conflitti. L’esperta Rulli: «La competizione per le risorse idriche diventerà centrale» – L’intervista

L’ultimo rapporto dell’Unesco, pubblicato in occasione della giornata internazionale dell’acqua, parla chiaro: le crisi idriche minacciano la pace nel mondo. L’intervista alla professoressa di idrologia del Politecnico di Milano Maria Cristina Rulli, esperta di food e water security

Risale a un anno fa la distruzione della diga di Kharkova nel territorio dell’Ucraina meridionale sotto il controllo russo. La devastazione, l’inquinamento dei fiumi, delle falde acquifere e del suolo ha causato alla popolazione mancanza di acqua da bere, per coltivare, assenza di servizi igienico-sanitari essenziali e ingenti danni all’ambiente. Sulla Striscia di Gaza, dall’attacco di Hamas del 7 ottobre e dall’inizio dell’offensiva nell’enclave palestinese da parte dell’esercito israeliano, la popolazione si trova senza cibo, elettricità e acqua. I due contesti, Ucraina e Gaza, dimostrano come l’acqua sia diventata negli anni target di azioni belliche e decisioni geopolitiche. Ciò spiega il cosiddetto water grabbing, o accaparramento dell’acqua, situazioni in cui attori potenti sono in grado di prendere il controllo o deviare a proprio vantaggio risorse idriche preziose, sottraendole a comunità locali o intere nazioni. In un futuro non troppo distante la questione dell’accesso all’acqua, nelle sue differenti accezioni, continuerà ad alimentare tensioni nelle diverse regioni del mondo. Anche a seguito del sovrappopolamento del pianeta, della siccità e della desertificazione causate dai cambiamenti climatici. 


Tra il 2000 e il 2023, stando all’analisi del Pacific Institute statunitense, sono state 1.385 le guerre legate alla gestione della risorsa idrica. E seppure 3 miliardi di persone nel mondo dipendono dall’acqua che attraversa i confini nazionali, appena 24 Paesi su 153 dichiarano di avere accordi di cooperazione per l’acqua condivisa. L’ultimo report dell’Unesco per conto dell’Un-Water (l’organismo dell’Onu), pubblicato in occasione della giornata internazionale dell’acqua, parla chiaro: le crisi idriche minacciano la pace nel mondo. Ma qual è il nesso tra acqua e conflitti? Le guerre che oggi si combattono per il petrolio, in futuro si combatteranno per l’acqua? E in che modo l’acqua può diventare un’arma? Lo abbiamo chiesto a Maria Cristina Rulli, professoressa di idrologia del Politecnico di Milano, che da anni si occupa di Food e Water Security. Per la rivista Science ha pubblicato, insieme al PoliMi, un’analisi sulla nuova “corsa alla terra” causata dal conflitto con grandi impatti ambientali su comunità locali e approvvigionamento alimentare.


Qual è il legame tra acqua e conflitto? 

«Sarebbe riduttivo parlare solo di scarsità idrica o, al contrario, di disponibilità idrica. Nei conflitti l’acqua deve essere associata al suo valore socio-economico: come forma di sostentamento, soprattuto in agricoltura, e con gli effetti che l’utilizzo umano dell’acqua ha sull’accessibilità di questa stessa risorsa. In altri termini, comprendere il nesso acqua-conflitti significa comprendere il legame che esiste tra acqua e ciò che è fondamentale per la società, in primis il cibo. L’acqua è essenziale per la produzione di cibo, la disponibilità di risorse idriche influisce fortemente sulla produzione agricola e, quindi, sulla sicurezza alimentare. Le nostre analisi sui conflitti nell’America centrale hanno mostrato come la diminuzione nella disponibilità e nell’accesso all’acqua e al cibo porti allo scoppio di conflitti, mentre condizioni stabili di pace sono influenzate maggiormente da favorevoli condizioni socio-economiche. Inoltre, i conflitti in un data regione del mondo possono essere anche influenzati da condizioni di scarsità idrica che si verificano in luoghi distanti. Questo spiega come il commercio di cibo possa rafforzare ed espandere spazialmente il nesso tra acqua, cibo e conflitto».

Ma in che modo l’acqua può diventare un’arma nei conflitti?

«Il ruolo dell’acqua in una guerra può assumere varie forme. Si parla di impatto diretto quando l’acqua e gli attacchi alle infrastrutture idriche vengono utilizzati come arma di guerra. Ad esempio, un attacco a una diga può determinare inondazione. Con impatto indiretto si fa riferimento alle operazioni militari che danneggiano l’ambiente, ad esempio avvelenando le fonti d’acqua o contaminando il suolo. E, infine, si parla di impatto transfrontaliero dove le conseguenze si fanno sentire anche in altri Paesi. Durante la guerra in Ucraina, il disastro della diga di Kakhovka e l’inquinamento dei fiumi, delle falde acquifere e del suolo ha causato alla popolazione mancanza di acqua, servizi igienico-sanitari e assistenza igienica e anche ingenti danni all’ambiente».

I cambiamenti climatici possono essere il detonatore di nuovi conflitti?

«Possono sia alterare la disponibilità dell’acqua e quindi anche di ciò che viene prodotto utilizzando quella risorsa. Ma possono avere un effetto anche sugli eventi estremi idrologici (siccità, desertificazione, inondazioni, allagamenti, ndr) intensificando condizioni di competizione per l’acqua».

Chi paga di più le conseguenze della mancanza di acqua? 

«Di certo coloro che non ne hanno accesso. In molti casi, infatti, il problema non è la disponibilità idrica, ma l’accesso stesso all’acqua. Si pensi a certe zone che sono ricche di acqua, ma dove mancano le infrastrutture per poter fruire di tale risorsa. In quello che è chiamato il Sud del mondo purtroppo è un caso frequente. In questi casi, infatti, ciò che manca è l’accesso all’acqua, non la disponibilità idrica. In termini tecnici, qui il problema è socio-economico e non biofisico perché in questi casi l’acqua c’è». 

Cosa possono fare i governi per ridurre i conflitti legati all’acqua?

«Dovrebbero creare misure idonee che tengano conto dell’importanza dell’acqua per il sostentamento umano. Ma anche porre l’attenzione su tutti quei meccanismi che si generano quando la risorsa viene usata in modo diseguale. E dovrebbero, infine, evitare le semplificazioni eccessive quando si considerano fattori ambientali in analisi sociali».

Nella sua analisi pubblicata su Science con il PoliMi relativa all’Ucraina lei afferma che la guerra potrebbe stimolare una nuova corsa alla terra. Ci può spiegare?

«La Russia e l’Ucraina sono importanti produttori ed esportatori di prodotti agricoli. Pertanto, da un lato, il riconoscimento di uno shock nella produzione, nell’importazione e nell’esportazione potrebbe scatenare un aumento dell’acquisizione di terre in regioni lontane dal conflitto. D’altro canto, la svalutazione delle terre confinanti potrebbe suscitare l’interesse degli investitori per queste terre».

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