Il governo contro «genitore 1 e 2» nei documenti: parte il ricorso in Cassazione

La decisione presa nel Cdm di oggi contro la sentenza dello scorso gennaio che aveva accolto il ricorso di una coppia di mamme contro il decreto del Viminale

Il governo Meloni ha deciso di fare ricorso in Cassazione contro la sentenza della Corte d’Appello di Roma dello scorso gennaio che aveva ristabilito la definizione di «genitore 1 e 2» sui documenti di identità dei minori. La decisione presa nel Consiglio dei ministri di oggi 9 aprile su proposta del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi arriva dopo la sentenza del 24 gennaio 2024. I giudici della Corte d’Appello di Roma avevano ordinato al Viminale di «indicare sulla carta d’identità elettronica del minore» il termine «genitore» o una «dizione corrispondente alle risultanze dello stato civile, in corrispondenza dei nomi».


Le reazioni alla sentenza

Contro quella sentenza aveva protestato il vicepremier Matteo Salvini, che l’aveva definitiva una «decisione sbagliata». Il leader della Lega aveva detto che «ognuno deve sempre essere libero di fare quello che vuole con la propria vita sentimentale, ma certificare l’idea che le parole “mamma” e “papà” vengano cancellate per legge è assurdo e riprovevole. Questo non è progresso». Aveva accolto con favore la decisione dei giudici l’associazione «Famiglie Arcobaleno» per la quale quella sentenza «smentisce» il Viminale che aveva ristabilito la sostituzione nei documento di identità della dicitura «genitori» con quella di «padre e madre».


Il ricordo delle due mamme

A ricorrere al tribunale di Roma era stata una coppia di mamme che aveva impugnato il decreto del ministero al Tar, chiedendo l’emissione di un documento d’identità «che rispecchi la reale composizione della loro famiglia». Già in primo grado il tribunale aveva accolto la richiesta delle mamme, dichiarando di fatto illegittimo il decreto in quanto il documento emesso «integra gli estremi materiali del reato di falso ideologico commesso dal pubblico ufficiale in atto pubblico». Nel provvedimento si affermava inoltre che «proprio l’esistenza di istituti come l’adozione in casi particolari, che può dar luogo alla presenza di due genitori dello stesso sesso (l’uno naturale, l’altro adottivo) dimostra che le diciture previste dai modelli ministeriali (padre/madre) non sono rappresentative di tutte le legittime conformazioni dei nuclei familiari e della conseguente filiazione imposte dai modelli ministeriali».

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