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Quattro contestazioni per la punizione del professore Christian Raimo. Si basano sul codice etico, ma non reggeranno davanti a un tribunale

09 Novembre 2024 - 15:29 Giampiero Falasca
I suoi attacchi al ministro Giuseppe Valditara sono certamente estremi, ma la libertà costituzionale di espressione vale più del codice di comportamento introdotto dal governo Draghi

La pesante sanzione disciplinare inflitta dall’Ufficio scolastico regionale del Lazio a carico di Christian Raimo, il professore romano che ha duramente criticato in più occasioni il Ministro Valditara, ha tutto il sapore di una vendetta politica. Il provvedimento si regge, infatti, su alcuni presupposti giuridici molto fragili, che proviamo a riassumere. I fatti sono noti: Raimo, in più occasioni – una manifestazione politica, e alcuni post sui social – ha criticato in maniera molto dura il Ministro Valditara, riservandogli giudizi sferzanti che hanno fatto molto discutere. Tra i passaggi più noti e controversi c’è l’invito a dimettersi «perché la sua idea di scuola è lurida e pericolosa», ma anche il messaggio social in cui afferma che Valditara «è un Ministro debole e incompetente, va colpito come la Morte Nera»; messaggio poi attenuato dalla precisazione che «era chiaramente una metafora, visto che non conosco nessuno con un Falcon».

Il caso Raimo: si applica il codice etico, ma si dimenticano le libertà costituzionali

Si può essere d’accordo oppure no con il contenuto e il tenore – indubbiamente molto forte e aggressivo – di questi messaggi, ma la questione che pone la vicenda è molto delicata: si può censurare un docente per aver espresso delle opinioni politiche, anche estreme? Perché di questo stiamo parlando: Raimo è un professore, ma ha espresso delle opinioni politiche, caratterizzate dalla netta contrapposizione al Ministro espresso dall’attuale maggioranza parlamentare. L’ufficio che ha comminato la sanzione ha omesso di considerare questo aspetto cruciale della vicenda, limitandosi ad analizzare le frasi del Professore rispetto alle norme del Codice Etico applicato ai dipendenti pubblici. In particolare, da quanto emerge leggendo le notizie di stampa, gli articoli principali che sarebbero stati violati sono soprattutto quattro.

Non reggono giuridicamente le quattro violazioni contestate al professore

La prima delle norme che sarebbero state violate è l’art. 3 comma 3 del “Codice di comportamento dei dipendenti pubblici” (DPR 63/2013), nella parte in cui recita che il dipendente pubblico «evita situazioni e comportamenti che possano ostacolare il corretto adempimento dei compiti o nuocere agli interessi o all’immagine della pubblica amministrazione»; le altre norme contestate riguardano invece il Codice di comportamento dei dipendenti della pubblica Istruzione introdotto dall’allora ministro Patrizio Bianchi (governo Draghi) con il DM 105/2022 . La violazione contestata a Raimo riguarda gli articoli 3, comma 3; 12 comma 1 e 13, comma 4 del Codice che hanno contenuti sostanzialmente simili: danno all’immagine del ministero anche utilizzando diversi mezzi di comunicazione (ad esempio i social). Si può dire che le dichiarazioni del Professore hanno violato queste norme? Sicuramente, le critiche aspre rivolte al Ministro non hanno giovato all’immagine della pubblica amministrazione. Ma basta questo per applicare una sanzione? No, non basta. Perché le regole dei codici etici non possono essere lette da sole, ma vanno coordinate con i principi costituzionali che tutelano la libertà di pensiero e la libertà di manifestare le proprie opinioni politiche, fuori e dentro i posti di lavoro.

Il rischio è che la sanzione diventi repressione del dissenso politico

Questi principi impongono di dare una lettura costituzionalmente orientati ai codici etici – tutti, non solo quello che disciplina l’attività dei dipendenti pubblici; questo vuol dire che tali codici non possono essere utilizzati come argomento per reprimere il dissenso politico. Una critica politica, essendo una forma di espressione tutelata dalla Costituzione, non può – per definizione – rientrare tra le affermazioni che danneggiano l’immagine di una pubblica amministrazione (a maggior ragione se la critica è espressa contro un soggetto che, pur essendo al vertice dell’amministrazione, ha un ruolo politico, come il Ministro).

La Cassazione è già intervenuta assolvendo dalle contestazioni dipendenti privati

Questa tutela della libertà di opinione e di dissenso è già riconosciuta nel lavoro privato – più volte la Corte di Cassazione ha sottolineato come il diritto di critica, anche aspra, verso il datore di lavoro è oggetto di una tutela rinforzata – ma dovrebbe essere ancora più forte quando si parla di un lavoro come quello dell’insegnante, che ha tra i propri compiti anche quello di allenare gli allievi all’esercizio del diritto di critica. Di tutto questo l’ufficio disciplinare non sembra aver tenuto conto: ha finto di non vedere la natura politica delle affermazioni di Raimo, tanto da contestare il fatto che le sue frasi fossero «prive di una finalità divulgativa». Circostanza assolutamente vera, peraltro: le forme di dissenso politico non hanno, di norma, una finalità divulgativa, ma servono ad alimentare la critica, anche aspra e sgradevole, dell’avversario. E allora la questione centrale della vicenda torna ad essere quella di partenza: si può comminare una sanzione disciplinare (peraltro molto pesante) a carico di uno professore che formula critiche politiche? La risposta sta nella Costituzione: basta volerla andare a cercare.

* Giampiero Falasca, avvocato giuslavorista Dla Piper

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