Idrogeno, il piano del governo Meloni e il flop dei fondi Pnrr: nessun progetto è stato ancora costruito
Di tutte le tecnologie legate alla transizione ecologica, l’idrogeno è forse quella che meno è riuscita a reggere il peso delle aspettative. «Sostituirà gradualmente i combustibili fossili, è la soluzione per il futuro», prometteva Romano Prodi, allora presidente della Commissione europea, nel lontano 2004, ben prima che si iniziasse a parlare del Green Deal. Da allora, la lotta ai cambiamenti climatici è finita in cima all’agenda politica, ma l’idrogeno si è ritagliato un ruolo ben più marginale di quanto ci si potesse aspettare. Nei giorni scorsi, il governo italiano ha presentato la «strategia nazionale idrogeno». Un documento di 75 pagine, preparato dal ministero dell’Ambiente, che delinea opportunità e sfide del settore.
Il divario con gli altri paesi europei
L’esecutivo di Giorgia Meloni, tra i più scettici in Europa nei confronti del Green Deal, ha evocato a più riprese la necessità di adottare un approccio «tecnologicamente neutrale» alla transizione ecologica. Tradotta in termini più semplici, la linea del governo italiano è la seguente: Bruxelles ha sbagliato a puntare tutto sull’elettrico e a ignorare altre tecnologie pulite. Tra queste ultime figura anche l’idrogeno, per cui l’Italia ha stanziato 3,64 miliardi di euro tramite il Pnrr. La cifra potrà anche sembrare elevata, ma impallidisce al confronto con le altre due grandi economie europee, ossia Francia e Germania. La prima ha stanziato 7 miliardi entro il 2030 a sostegno della propria strategia sull’idrogeno, la seconda ne ha messi da parte addirittura 9.
Una conferma di questo divario arriva proprio dalla «strategia nazionale idrogeno» presentata nei giorni scorsi dal ministero dell’Ambiente. L’ultimo piano dell’Italia, pubblicato nel 2020, prevedeva entro fine decennio una capacità elettrica di 5 GW di elettrolizzatori, ossia di quei dispositivi in grado di separare l’idrogeno dall’ossigeno usando energia elettrica. La nuova strategia del governo Meloni ha abbassato quell’obiettivo da 5 a 3 GW, facendo scivolare l’Italia sempre più lontano dagli altri grandi paesi europei. La Francia prevede di raggiungere entro il 2030 una capacità di 6,5 GW di elettrolizzatori, la Germania 10 GW, la Spagna 12 GW.
I due ostacoli più grandi: costi troppo alti e poche rinnovabili
A frenare lo sviluppo dell’idrogeno hanno contribuito essenzialmente due ostacoli: i costi troppo elevati e la scarsa disponibilità di energia rinnovabile. Per quanto riguarda la questione economica, il governo stima che potrebbero servire fino a 16 miliardi di euro per i soli sistemi di elettrolisi, ossia per la produzione di idrogeno, a cui vanno aggiunti altri 33 miliardi per il trasporto e l’ammodernamento degli stabilimenti industriali. Produrre idrogeno verde – ossia ricavato da energia rinnovabile – costa dai 5 ai 10 euro al chilogrammo. Ma per diventare davvero sostenibile economicamente, sostengono gli addetti del settore, il costo dovrebbe scendere a 2 euro al chilogrammo entro il 2030. L’altro ostacolo allo sviluppo di una vera e propria filiera dell’idrogeno riguarda la produzione di energia. Il governo italiano stima che per produrre idrogeno verde serviranno circa 90 gigawatt di impianti eolici e solari entro il 2050.
A cosa servirà davvero l’idrogeno
Malgrado le difficoltà del settore, l’idrogeno avrà comunque un ruolo importante da svolgere nel lungo percorso dell’Unione europea verso le zero emissioni nette. Ma quali saranno di preciso i campi di applicazione? L’ipotesi più accreditata è che l’idrogeno darà un aiuto fondamentale per decarbonizzare i trasporti marittimi, quelli aerei e – soprattutto – l’industria pesante: raffinazione del petrolio, acciaio, chimica, vetro, ceramica. In Italia sono già partiti alcuni progetti sperimentali, ma la filiera dell’idrogeno sta ancora muovendo i primi passi. «È un momento storico per il nostro settore, ma ora servono un piano operativo e regole certe», ha detto Alberto Dossi, presidente di H2It, associazione italiana dell’idrogeno, poco dopo la pubblicazione della nuova strategia del governo italiano.
Un settore su cui l’idrogeno pare non avrà alcun futuro è invece quello delle automobili. Pur con qualche difficoltà, i veicoli elettrici si sono imposti come l’alternativa più efficiente ai motori tradizionali, mentre le auto a idrogeno, complice anche la difficoltà nel realizzare stazioni di rifornimento capillari, molto difficilmente riusciranno a conquistare il mercato. A ottobre del 2023, Toyota ha riconosciuto il flop dei suoi modelli a idrogeno, ammettendo che i veicoli commerciali e pesanti sono più adatti a quel tipo di tecnologia. In Italia, il Pnrr ha stanziato fondi per almeno 40 stazioni di rifornimento da costruire entro il 2026. Ad oggi, ce ne sono solo due attive: una a Bolzano e una a Mestre.
I progetti del Pnrr finanziati e mai costruiti
La «strategia nazionale idrogeno» presentata dal governo italiano serve come base di partenza per gli investimenti futuri nel settore. Anche se va detto che la situazione, almeno per il momento, appare piuttosto caotica. «Di tutti i progetti legati all’idrogeno che in Italia hanno ricevuto fondi Pnrr, a oggi nessuno è stato costruito, tantomeno è operativo», ha ricordato di recente Stefano Clerici, direttore dell’Osservatorio sul mercato internazionale dell’idrogeno della società di ricerca Agici, citato dal Sole 24 Ore. Dei circa 3 miliardi di euro di investimenti previsti dal Pnrr, 693 milioni riguardano il Nord (con 68 progetti), 506 sono al Sud (con 56 progetti) e 118 milioni al Centro (20 progetti).
Il flop del piano europeo sull’idrogeno
A dirla tutta, i ritardi sull’idrogeno non riguardano solo l’Italia. Lo scorso luglio, la Corte dei conti dell’Unione europea ha pubblicato un report molto critico nei confronti della strategia dei 27 Paesi Ue sull’idrogeno. Il potenziale, scrivono i giudici, c’è eccome. Soprattutto in Italia, Francia e Spagna, che «hanno un potenziale elevato o buono per creare un’eccedenza di energia rinnovabile che può essere utilizzata per produrre idrogeno». Il problema sottolineato dalla Corte dei conti è di natura politica: gli investimenti per incentivare la creazione di una filiera dell’idrogeno sono troppo frammentati per avere davvero successo. E gli obiettivi fissati per il 2030 da Bruxelles, scrivono i giudici, sono irraggiungibili allo stato attuale.