Alemanno scrive a Nordio: «Diagnosi senza cura, sovraffollamento, ottantenni detenuti, ecco il carcere di oggi in Italia»


L’ex sindaco di Roma, Gianni Alemanno, tornato in carcere a gennaio perché saltava gli appuntamenti con i servizi sociali (è stato condannato ad 1 anno e 10 mesi per traffico di influenze) torna a far parlare di se con una dura lettera sulla situazione carceraria. Oggi, Alemanno è detenuto nel carcere di Rebibbia e ha deciso di mandare una missiva al ministro della Giustizia, Carlo Nordio, assieme a Fabio Falbo, detenuto particolarmente noto di Rebibbia non solo perché “scrivano” (cioè a disposizione dei detenuti che non sanno leggere e scrivere almeno per la compilazione delle istanze) ma anche perché laureato in giurisprudenza e molto attivo nei laboratori di filosofia organizzati all’interno della struttura.
Gli ultra ottantenni e l’ingiusta detenzione
Alemanno e Falbo parlano al ministro di tutte quelle che ritengono le emergenze delle carcere di oggi, puntano il dito contro «l’abuso della carcerazione preventiva»: «Basta citare il dato delle 1.180 domande di risarcimento per ingiusta detenzione per un totale di circa 27,4 milioni di euro pagati». Accusano i tribunali di sorveglianza di non dare esecuzione alle sentenze della Corte costituzionale in merito alla permanenza dietro le sbarre degli ultra settantenni: «Qui a Rebibbia -scrivono i due detenuti- sono diversi gli ultra ottantenni, anche non recidivi, che continuano a vedersi rigettare le loro richiesta di accedere a questa misura (alternativa, ndr)». Parlano delle tante diagnosi svolte in carcere che poi non prevedono il piano terapeutico da seguire all’interno della struttura: «Non si deve morire in carcere perché non ci sono cure adeguate. Perbacco, questo è inammissibile: ci battiamo perché non accada in Africa e l’Africa ce l’abbiamo nelle nostre carceri?».
Il sovraffollamento
Arrivano quindi al cuore del problema, il sovraffollamento penitenziario. La sentenza della Corte europea detta Torregiani dava come termine il 2012 per superare l’emergenza, ma il termine è trascorso senza che il problema fosse risolto. Per Alemanno e Falbo un primo passo sarebbe attuare la proposta di riforma avanzata da Roberto Giachetti, di Italia Viva: «Le persone detenute sono un pezzo della società e sono un pezzo vulnerabile della stessa come tante volte ci ha ricordato il compianto Papa Francesco». Riconoscere l’insostenibilità delle loro condizioni di vita «non significa cedere a condizioni permissive contrarie al principio della certezza della pena».