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La ciocca di capelli, i tatuaggi, il tuffo nel vuoto al Duomo: la storia di Emanuele De Maria, detenuto modello che ha ucciso due donne

emanuele de maria duomo milano chamila wijesuriya
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Ha accoltellato Chamila Wijesuriya perché voleva lasciarlo. E il collega per vendetta. Nove anni prima l'omicidio a Castel Volturno e la latitanza. Poi il permesso di lavoro e il contratto a tempo indeterminato all'hotel Berna

Alle 13 e 42 di domenica 11 maggio Emanuele De Maria, munito di regolare biglietto, arriva fino alla terrazza del Dumo di Milano. È in fuga da 30 ore. Ha accoltellato un collega di lavoro, il barista egiziano Hani Fouad Abdelghaffar Nasr, all’hotel Berna di via Napo Torriani, davanti alla Gintoneria in zona Stazione Centrale. Nelle tasche ha la foto della collega Chamila Wijesuriya Arachchilage Dona e una bustina con una ciocca di capelli. Alle 15 la polizia troverà il corpo di lei nel parco Nord di Cinisello Balsamo con le mani incrociate sul petto. De Maria invece si butta di sotto e muore. Polizia e 118 intervengono alle 13,53. Privo di documenti, viene riconosciuto dai tatuaggi sul suo corpo.

La storia di un detenuto modello

Finisce così la storia di un detenuto modello. De Maria lavorava all’hotel Berna da fine 2023. Da pochi mesi era stato assunto con un contratto a tempo indeterminato. Doveva scontare ancora 8 anni di carcere per una condanna definitiva. Aveva ucciso nel 2016 la 23enne di origine tunisina Racheb Oumaima a Castel Volturno in provincia di Caserta. Dopo era scappato in Sassonia al confine tra i Paesi Bassi e la Germania ed era rimasto latitante per due anni. Aveva scelto il rito apbbreviato per ricevere una condanna definitiva a 12 anni per l’esclusione di tutte le aggravanti: la premeditazione, i motivi abbietti, la crudeltà. Poi aveva cominciato a scontare la pena nei penitenziari d’Italia. Secondigliano, Rebibbia, infine Bollate. «Apprezzerei se qualcuno mi scrivesse una lettera. Potete anche scrivermi in tedesco, olandese, inglese, croato e ovviamente italiano», diceva durante un’intervista in cui raccontava la sua condizione.

Chamila Wijesuriya

De Maria aveva una relazione con Chamila Wijesuriya. 50 anni, sposata con un figlio, era scomparsa da venerdì pomeriggio. Quando il suo corpo è stato ritrovato la donna aveva due tagli alla gola e altri ai polsi. Proprio come la ragazza tunisina che era stata uccisa nel 2016. Anche Chamila lavorava all’Hotel Berna, era italiana di origine cingalese. I due avevano intrecciato una relazione. Proprio per lei De Maria ha accoltellato il collega. «Non so spiegarmi perché ce l’avesse con me, non abbiamo mai avuto problemi», ha raccontato ai poliziotti l’uomo, che si è salvato soltanto dopo un intervento d’urgenza all’ospedale Niguarda. «Una volta avevo visto lui e Chamila che si appartavano e quindi le avevo detto di fare attenzione a lui, di stargli lontano», ha spiegato agli investigatori, coordinati dal pm Francesco De Tommasi.

Il rivale

Per questo ha tentato di accoltellarlo. Ma prima aveva già ucciso lei, tra le 15,30 e le 16,30 di venerdì. Le immagini di una telecamera di sorveglianza catturano i due che camminano nel Parco Nord di Cinisello Balsamo. Sono all’entrata di via Massimo Gorki. Passeggiano l’uno accanto all’altra, hanno gli ombrelli, non litigano. Lei sembra tranquilla. Il contapassi del telefono si ferma alle 15,30 e riprende a contare un’ora dopo. Nel frattempo, 20 metri più avanti, sul sentiero del parco, lui la uccide.

Un’ora dopo torna solo. Due giorni dopo un passante nota il corpo dell’italo-cingalese disteso sul terreno umido. Ha le mani incrociate sul petto. Due tagli al collo e altri sui polsi che vanno nella direzione delle braccia. Forse sono stati incisi dopo la morte. De Maria prende la borsa della vittima, taglia una ciocca di suoi capelli che ripone in una bustina di plastica e scappa. In metro: una telecamera lo riprende di nuovo vicino al capolinea della linea rossa alla fermata Bignami.

Il telefono

Intanto usa il telefono di lei. Cerca il numero di sua madre, che Chamila aveva salvato in rubrica. Chiama lei e la cognata. «Perdonatemi, ho fatto una cazz…». Gli mancavano cinque anni alla fine della pena, da due aveva il permesso di andare a lavorare. Fa capire di essere pronto a togliersi la vita. Poi spegne il telefono. E ricompare solo 36 ore dopo al Duomo. Dove una turista lo nota mentre si sporge dalla terrazza e pensa che voglia fare un video dall’alto verso il basso: «Oh…guarda questo, si sta sporgendo per fare un video dalle terrazze».

Invece alla fine lui si butta: «Ho sentito un botto, le urla, la gente che correva. Mi sono spaventato, mi sono voltato e ho visto il corpo. I soccorritori hanno provato a rianimarlo ma non c’erano speranze». Il collega racconta che aveva consigliato a Chamila di lasciarlo. «Ho paura, ho paura che siamo in pericolo anche noi. Da quando è nato nostro figlio quindici anni fa Chamila non si è mai allontanata da casa», dice il marito della donna.

Il marito

De Maria, 35 anni, aveva inserito il nome della donna tra quelli che poteva contattare con il cellulare datogli dal tribunale di sorveglianza. «Quando mia moglie mi ha raccontato che a lavoro, nell’hotel, era arrivato questo ragazzo, le ho detto: “Stai attenta, perché ha ucciso una donna”», racconta oggi il marito di Chamila a La Stampa. «Non era mai capitato di non sentirla anche solo per un giorno. Era uscita lasciando la verdura sul tavolo. Continuavo a chiamarla ma non rispondeva. Il telefono è stato trovato in un cestino di una fermata del metrò vicina a casa. Mia moglie era molto attraente, buona, socievole e amica di tutti. Non sapevo se si vedessero. Non me ne aveva mai parlato. Temevo le fosse successo qualcosa», ricostruisce. I due erano sposati dal 1996. Si erano conosciuti in Sri Lanka. Poi l’uomo è partito per l’Italia con un permesso di soggiorno per lavorare.

La famiglia

«Solo per il lutto di mio padre siamo stati distanti. Ero tornato in Sri Lanka. Le vacanze le facevamo sempre insieme». Lui prima trova lavoro a Messina, tre anni dopo a Milano si ricongiunge con lei. Lui è impiegato come cuoco in un ristorante in zona Duomo. Lei, appunto, barista al Berna dal 2009. Il figlio ha diciassette anni: «Proprio in questi giorni sta aspettando l’esito dell’esame di ammissione all’università. Siamo andati insieme in Olanda a vedere l’Ateneo». E conclude: «Chamila era un’ottima madre e un’ottima moglie, non mi stancherò mai di ripeterlo».

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