Papa Leone XIV e il fisco americano: dalla dichiarazione dei redditi alla (possibile) esenzione del Palazzo Apostolico


Chi siede sul soglio pontificio risponde direttamente a Dio e, se americano, al Dipartimento delle imposte statunitense. È il caso – il primo nella storia – di Papa Leone XIV, al secolo Roberto Francis Prevost. Nato nell’Illinois, in quel di Chicago, è cittadino americano a tutti gli effetti. E proprio per questo, ha spiegato il Washington Post, dovrà presentare la dichiarazione dei redditi nel suo Paese di origine. Anche se il pontefice effettivamente non riceve uno stipendio vero e proprio, il Vaticano garantisce una lunga serie di fringe benefit su cui Washington chiede conto. Come evitarle? Il Congresso dovrebbe affrontare il tema con un provvedimento ad personam, trattandosi del primo Papa a stelle e strisce. Oppure Papa Leone XIV dovrebbe rinunciare alla sua cittadinanza americana, sottraendosi così automaticamente al sistema fiscale d’oltreoceano.
Le pretese del fisco americano
Alloggio, vitto, viaggi, assistenza sanitaria e un sussidio mensile per le spese personali: la Santa Sede mette le sue casse a disposizione del capo di Stato vaticano. E proprio su questi benefit il Dipartimento delle imposte americano ha messo gli occhi. L’alloggio, probabilmente il Palazzo Apostolico, in realtà potrebbe essere esente. Non perché si tratti del Papa, ma perché la legge americana non tassa la residenza se «di proprietà dell’azienda ed essenziale per il bene dell’azienda che il dipendente ci viva». A cui si aggiunge il regime speciale di benefici fiscali che viene applicato ai religiosi e ai membri di governi stranieri. Ma qualcosa nell’erario di Washington dovrà entrare.
Per Leone XIV valgono i «principi del diritto tributario internazionale»
Si tratta di un unicum nella storia del papato. «I recenti papi di Polonia, Germania e Argentina non sono stati tassati dai loro Paesi d’origine», ha affermato Jared Walczak, vicepresidente della Tax Foundation,
un think tank di Washington. Ma per gli Stati Uniti, che si tratti di pontefici o meno, non sembra esserci differenza. Anche perché dal 2015 è in vigore una legge federale che impone agli istituti finanziari di tutto il mondo, quindi compreso il Vaticano, di segnalare al Dipartimento delle imposte i dettagli dei conti dei loro clienti americani, su cui poi applicare «i principi del diritto tributario internazionale».
Una regola che vale in primo luogo per i cittadini statunitensi che abbiano controllo di fondi o altri beni su conti esteri per un valore superiore ai 10mila dollari. Secondo gli esperti, questa misura «si applicherebbe in pieno anche a Papa Leone XIV se ha autorità di firma sui conti del Vaticano».