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Anna Chiti, morta sul catamarano a Venezia nel primo giorno di lavoro senza contratto: «Mia figlia sola con lo skipper, voglio la verità»

anna chiti catamarano
anna chiti catamarano
Il padre Umberto: ci voleva più personale. Le indagini sulle cause dell'incidente

«Mia figlia su quella barca doveva solo parlare l’inglese. Fare la traduttrice. Non avrebbe dovuto fare il marinaio. Ma poi mi chiedo: mandi una bambina di 17 anni, senza salvagente né niente, su una barca di 10-12 metri a fare una manovra che di solito fa uno con decenni di esperienza?». Umberto è il padre di Anna Chiti, la 17enne morta su un catamarano a Venezia nel suo primo giorno di lavoro. E ancora non capisce come sia potuto accadere: «Per quel tipo di barca ci voleva più personale. Invece lei era da sola con lo skipper. Adesso voglio la verità».

L’incidente

Proprio alla fine della sua prima giornata di lavoro la 17enne è caduta in acqua a pochi centimetri dalla banchina. Aveva la cima in mano, i motori erano accessi. La corda si è andata a impigliare nelle eliche e l’impatto con le pale l’ha uccisa. Inutile l’intervento dei vigili del fuoco. Ora la Capitaneria di Porto e la procura di Venezia indagano sulle cause dell’incidente. La prima domanda è se la 17enne avesse un contratto per stare a bordo del catamarano e potesse effettuare da sola la manovra di ormaggio. Repubblica racconta anche del suo lavoro da hostess a bordo del Calita a Marina di Sant’Elena, affittato dalla Novayacht a un gruppo di giovani turisti stranieri per una festa di compleanno in laguna. Secondo la ricostruzione degli investigatori Anna ha aiutato lo skipper.

Il contratto

Repubblica dice che ancora il contratto non è saltato fuori. Ma secondo il padre la figlia avrebbe dovuto solo fare accoglienza agli ospiti. Forse una giornata di prova. Visto che è diffusa la pratica di ingaggiare a voce govani studenti dell’istituto ex nautico per lavoretti a bordo. Se così fosse, si tratterebbe di un impiego in nero. Umberto spiega a Repubblica che la figlia «quella manovra in ormeggio non doveva farla lei da sola». Lui ha scoperto del nuovo lavoro soltanto il giorno prima: «Un amico di un cantiere mi ha detto “sai che Anna è andata a fare un lavoro sulla barca?”. Mi hanno detto che era entusiasta. Io e sua madre siamo separati, le mie figlie vivono con lei. So che voleva mettere da parte un po’ di soldi, il 7 giugno avrebbe compiuto 18 anni e voleva fare una festicciola con gli amici, comprarsi qualcosa.

Una barca così grande

«Stanno indagando, ma una barca così non possono mica portarla solo in due. Serviva sicuramente più equipaggio, a bordo o in banchina», aggiunge Umberto. E ancora: «Anna era una nuotatrice esperta, anche più di me, e noi siamo una famiglia di subacquei. Io oggi faccio il portuale ma in passato facevo recuperi in profondità, come mio padre e i miei cugini: siamo tutti cresciuti in mare. E anche Anna, con me e sua mamma e l’altra nostra figlia, Giulia, sono gemelle». La figlia «sognava di diventare comandante e di girare il mondo sulle grandi navi. Da crociera o offshore. Era molto brillante, sapeva tante lingue, anche il russo e l’ucraino, come le origini di sua madre. Era una ragazza di un’intelligenza super, poteva fare carriera, poteva fare tutto. Vederla sul tavolo all’obitorio mi ha distrutto il cuore».

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